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Nel 2018 il mondo ha perso 3,6 milioni di ettari di foresta primaria. L’Unione Europea è tra i primi partner economici del Brasile e compra soia, carne e minerali per miliardi di euro l’anno. Diverse le campagne contro il Presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che intende attivare nuovi progetti agricoli e idroelettrici, una nuova highway e ricerche minerarie proprio all’interno della foresta amazzonica, convertendone ampie aree. Scienziati e ambientalisti scrivono una lettera aperta all’Ue per avere maggiori garanzie rispetto all’origine dei prodotti importati e al loro ruolo nella deforestazione e nei conflitti con i popoli indigeni.
Le foreste sono da sempre riconosciute dagli ambientalisti come estremamente preziose per la complessità ecosistemica che ospitano e per i servizi che offrono all’intera umanità: l’Amazzonia gioca un ruolo determinante nella lotta ai cambiamenti climatici, immagazzinando fino a 120 miliardi di tonnellate di carbonio l’anno. Il loro valore risiede anche nella storia che vi è sedimentata, nelle popolazioni indigene che da sempre si muovono nel loro habitat naturale e nelle specie animali e vegetali che vi si nascondono: come ricorda Martina Borghi, referente Campagna Foreste di Greenpeace Italia, la foresta amazzonica è la casa di oltre 24 milioni di persone e ospita 40mila specie di piante e animali, tra i quali molti in via di estinzione.
Ma il valore di questi terreni non è dettato solo dalla loro biodiversità, secondo gli ultimi dati diffusi da Global Forest Watch, elaborati dall’Università del Maryland, nel 2018 il mondo ha perso 3,6 milioni di ettari di foresta primaria, una zona grande quanto il Belgio. Il mercato globale chiede sempre più spazio per monocolture e allevamenti e i paesi in forte crescita, come il Brasile, trovano spesso conveniente permettere a società e privati la conversione di vaste aree di foresta a fini commerciali. Martina Borghi ricorda come l’80% della deforestazione nel mondo avvenga ormai per fare spazio a monocolture e pascoli: l’Europa stessa compare tra i primi importatori di soia al mondo, e l’80% di questa è destinata ad alimentare animali da allevamento. "L'UE - specifica Greenpeace Europa - deve assicurarsi che il cibo che mangiamo non contribuisca alle violazioni dei diritti umani e alla distruzione delle foreste in Brasile o altrove".
Per questa ragione 602 scienziati e 2 organizzazioni indigene brasiliane hanno dedicato una lettera aperta all’Ue, pubblicata sulla rivista Science, per chiedere una maggiore trasparenza rispetto alle materie prime importate, garantendo ai cittadini l’utilizzo di prodotti che non siano implicati in azioni di distruzione delle ultime foreste del pianeta o in conflitti con popolazioni indigene. In quanto secondo partner commerciale del Brasile, l’Europa ha il potere e il dovere, secondo i 602 firmatari, di esigere un cambio di rotta. Gli esperti ricordano una spesa europea di almeno 3 miliardi di euro per importazioni di ferro dal Brasile nel solo 2017, nonostante le attività estrattive non fossero vincolate al rispetto di standard minimi di tutela ambientale e sociale.
Non solo, l’Europa ha importato nel 2011 un quantitativo di carne tale da essere responsabile della deforestazione di oltre 1000 kmq di foresta, equivalenti a più di 300 campi da calcio al giorno.
Non è un caso, quindi, la richiesta di pressioni da parte dell’Ue verso il governo del Brasile: la foresta amazzonica è la più estesa del mondo e Bolsonaro, in quanto Presidente in carica, ne controlla due terzi. Le sue decisioni politiche influiscono pesantemente sul questo inestimabile serbatoio di natura: il leader politico, entrato in carica il 1° gennaio 2019, ha anticipato alcuni obiettivi per i prossimi anni di governo, che vedono la realizzazione di una highway in grado di attraversare buona parte di foresta, un’intensificazione delle attività di disboscamento con nuovo sfruttamento minerario del suolo, l’avvio di nuovi impianti idroelettrici.
Tra le diverse azioni già promosse dall’amministrazione Bolsonaro, il FUNAI, Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni, ha perso le sue responsabilità operative ed è stato spostato sotto il cappello del Ministero dell’Agricoltura. Survival International spiega come il nuovo Ministro in carica per l’Agricoltura, Tereza Cristina, sia da anni impegnata in una lotta contro i diritti territoriali indigeni, a favore di una netta espansione agricola nei loro territori e lancia una petizione a livello internazionale per difendere questa ultima foresta primaria e i suoi abitanti. Perché se il motto del Presidente Bolsonaro sembra essere “ordine e progresso”, gli ambientalisti si chiedono perché non sia possibile, dopo tutti gli errori già commessi in passato, lavorare ad uno sviluppo che non comprometta gli equilibri ambientali e sociali di un’intera nazione.
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