Barriera corallina australiana, trovato il modo per riprodurla
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Barriera corallina australiana, trovato il modo per riprodurla

Dopo la preoccupazione per la morte di gran parte della Grande barriera dell'Australia, alcuni ricercatori sono riusciti a riprodurne il corallo. Un risultato che fa sperare di poter ripristinare popolazioni coralline danneggiate in varie parti del mondo.

Una buona notizia per la Grande barriera corallina dell'Australia: il corallo danneggiato dal riscaldamento globale può essere ripristinato. E meno male, perché nell'anno appena trascorso le immagini di una barriera sbiancata e morente hanno fatto disperare per la salute di quell'inestimabile patrimonio di biodiversità.

L'annuncio giunge dall'Università australiana Southern Cross, dove alcuni ricercatori  sono riusciti a coltivare e a trapiantare con successo il corallo della Grande barriera dell'Australia. Come? Gli scienziati hanno raccolto a fine 2016 grandi quantità di ovuli e di sperma di coralli a Heron Island, al largo della costa orientale. Hanno così prodotto quantità massicce di larve che hanno, in seguito, trapiantato in delle zone danneggiate. E otto mesi dopo, ecco la comunicazione: il corallo è sopravvissuto e cresciuto.

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La tecnica utilizzata è innovativa e si discosta dal cosiddetto “giardinaggio corallino” o dall'allevamento di coralli nei vivai. “Il successo di questa nuova ricerca non si applica solo alla Grande barriera ma ha potenzialmente una pertinenza internazionale”, ha dichiarato Peter Harrison, direttore delle ricerche. “Essa mostra che si possono ripristinare popolazioni coralline danneggiate, in luoghi in cui la produzione naturale di larve è stata compromessa”.

Un risultato provvidenziale, posto che negli ultimi anni la più grande struttura corallina esistente sulla Terra ha subito un danno senza precedenti a causa di un temporaneo aumento della temperatura del mare fino a 4 gradi.

Questo fenomeno ha causato lo sbiancamento del 90% e la morte di oltre il 20% dei coralli. Si è trattato di uno sbiancamento di massa, in cui i singoli episodi si sono verificati a una distanza tanto ravvicinata da non consentirne il recupero.

Secondo gli esperti, infatti, occorrono cinque anni per riprendersi dopo un singolo evento. Se non può servire a sostituire comportamenti responsabili e politiche carbon free che mettano un freno al riscaldamento globale, un aiuto da parte della scienza è, comunque, un punto di partenza benvenuto e bene accetto.

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