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“Le bugie della Monsanto” è un’inchiesta pubblicata da Le Monde che denuncia le intimidazioni e le pressioni che la multinazionale avrebbe esercitato sulla scienza per negare la tossicità del glifosato e mantenerlo sul mercato. In attesa che venga fatta chiarezza, quali sono le alternative al diserbante?
Sembra un romanzo giallo denso di intrighi internazionali, il duello fatto di botte, risposte, e accuse tra la Monsanto e gli enti incaricati di stabilire il livello di tossicità del glifosato, componente base del prodotto erbicida di punta della multinazionale. “Le bugie della Monsanto” è una documentata e approfondita inchiesta, pubblicata da Le Monde e tradotta da Internazionale, che rivela una fitta rete di intimidazioni nei confronti di organizzazioni che hanno classificato l’erbicida- il più diffuso al mondo- come “potenzialmente cancerogeno”.
Secondo quanto riportato, non ci sarebbero solo le pressioni esercitate da Monsanto sulla Iarc (Agenzia internazionale sulla ricerca contro il cancro). Dai cosiddetti Monsanto Papers emergono anche i presunti condizionamenti rivolti dal colosso all’Epa (Autorità di protezione ambientale), competente a rilasciare negli Stati Uniti le licenze all’uso dei pesticidi. Le prove in proposito sono state presentate durante il processo intentato contro la Monsanto dallo Stato della California.
Ma non è tutto: lo scorso marzo era stato reso noto il rapporto “Buying Science” ad opera di un gruppo di associazioni tra cui Friends of the Earth. Il report rivelava come tra il 2012 e il 2016 Monsanto e altri produttori di glifosato abbiano sponsorizzato una serie di recensioni, pubblicate su riviste scientifiche per distorcere le prove sugli effetti per la salute pubblica del glifosato e mantenerlo, così, sul mercato.
Un’inchiesta del quotidiano statunitense New York Times ha inoltre recentemente affermato- mail incriminanti alla mano- che la multinazionale abbia fornito le linee guida per alcuni studi, che sedicenti ricercatori indipendenti avrebbero poi firmato.
Anche in Europa e in Italia il contenzioso non risparmia affondi. Dopo che la Bfr -l’istituto tedesco a cui la Commissione europea ha affidato la valutazione del diserbante- ha decretato che il glifosato non è cancerogeno, l’istituto bolognese Ramazzini ha avviato una raccolta fondi per eseguire uno studio pilota. I primi risultati saranno pubblicati a settembre, e il team di ricerca anticipa che saranno poco confortanti per la Monsanto e per la Bfr. Dopo la prima pubblicazione, il Ramazzini lancerà una nuova campagna di raccolta fondi internazionale per promuovere uno studio sugli effetti a lungo termine del glifosato e fare definitivamente chiarezza. Il protocollo dello studio ha già avuto l’autorizzazione dell’Unione Europea.
E mentre il contenzioso continua, Agrifarma avverte che il ritiro del diserbante causerebbe, per mancanza di alternative, danni ingenti all’economia agricola europea. Non è quel che pensa il tavolo di 34 Associazioni ambientaliste della campagna di #stopGlifosato, che afferma come un’agricoltura più sostenibile renderebbe inutile l’impiego del principio attivo. In particolare, l’associazione Slow Food ha redatto un decalogo di alternative, mentre si attende che la complicata trama del giallo internazionale venga districata ed emerga, finalmente, tutta la verità sul glifosato.
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