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Il marine litter è un nemico imponente delle nostre acque. A confermarne la pericolosità, gli esperti intervenuti nel dibattito sul tema durante la IV edizione dell'EcoForum.
Economia circolare e stato di salute dei nostri mari: sono stati questi i temi portanti del terzo dibattito della prima giornata dell'EcoForum, la tre giorni organizzata da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club.
Al centro dell'EcoForum un grande dibattito sullo stato dell'arte dell'economia circolare in Italia, ponendo il focus non solo sulle opportunità che offre in termini di sviluppo occupazionale ed economico, ma anche sugli ostacoli e le problematiche da risolvere per beneficiare appieno delle sue potenzialità.
Nel dibattito sul marine litter, moderato dal direttore di QualEnergia Sergio Ferraris, sono intervenute personalità molto variegate che, con i loro interventi, hanno restituito dei feedback molto utili per analizzare il fenomeno.
Per Silvia Velo, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nonché prima relatrice del dibattito, il marine litter è una problematica più annosa che mai. La prima cosa da tenere in considerazione quando si parla di marine litter in Italia è la peculiarità del Mar Mediterraneo: essendo un bacino semichiuso, le sue acque hanno un ricambio molto più lento rispetto agli oceani.
Questo può portare ad un costante peggioramento dello stato di salute delle nostre acque, che si ripercuoterebbe sempre più sulle attività di pesca, sull'acquacoltura, sul turismo e sulla Pubblica Amministrazione, che dovrebbe farsi carico della pulizia delle spiagge e dei siti inquinati.
L'economia circolare e un corretto smaltimento dei rifiuti sono le uniche strade perseguibili per arginare una problematica come quella del marine litter. A confermare questo assunto anche Raffaele Tiscar, Capo di Gabinetto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che ha partecipato attivamente al dibattito.
Per Tiscar il primo punto da chiarire riguarda proprio la natura della circular economy; quest'ultima, infatti, non deve essere definita come un'economia dei rifiuti, ma come un nuovo modo di fare economia. Per innescare un ciclo virtuoso che comprenda l'estrapolazione di materie prime dai rifiuti, è opportuno prevedere delle condizioni per cui un manufatto può essere scomposto e utilizzato in contesti diversi.
Questo processo ha l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione comune sul tema della salute e, al contempo, fornire anche una sorta di metro di misura della circolarità. Il cittadino deve essere messo in condizione di poter apprezzare il prodotto figlio della circular economy, conoscendo tutti i benefici che questa pratica può apportare al nostro ecosistema.
L'intervento di Serena Carpentieri, Responsabile Campagne Legambiente, ha gettato delle basi ancora più solide per discutere, dati alla mano, del fenomeno del marine litter.
Serena Carpentieri ha presentato alla platea l'indagine Beach Litter, realizzata da Legambiente Onlus nell'ambito della campagna Spiagge e Fondali puliti – Clean up the Med. Dal 2014 i volontari Legambiente monitorano le spiagge italiane con l'obiettivo di definire quantità e tipologia di rifiuti presenti sui litorali.
L'indagine Beach Litter relativa al 2017 ha visto cadere sotto la lente d'ingrandimento di Legambiente 62 spiagge, monitorate tra aprile e maggio. Su un'area campionata di oltre 200 mila metri quadri, sono stati rinvenuti 41.623 rifiuti, con una media di 670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.
A possedere il (triste) primato di rifiuto più presente nelle spiagge italiane è la plastica, che compone circa l'84% degli oggetti rinvenuti. Accanto alla plastica sono stati individuati altri materiali inquinanti in quantità decisamente inferiori, come il vetro, il metallo, la carta, il legno, i tessili e la gomma.
Per capire come fronteggiare l'emergenza marine litter è necessario buttare uno sguardo sulle cause scatenanti del fenomeno. Per Legambiente la cattiva gestione dei rifiuti urbani è responsabile di circa la metà dei rifiuti presenti sulle spiagge italiane (49%). A seguire, le attività di pesca e acquacoltura generano circa il 14% dei rifiuti marini, di cui il 77% imputabili esclusivamente all'acquacoltura.
A chiudere il quadro, l'inefficienza dei sistemi depurativi e, soprattutto, la brutta abitudine di gettare rifiuti nel WC generano circa il 7% dei rifiuti sulle nostre spiagge. Questo punto è stato particolarmente approfondito da Loris Pietrelli, ricercatore ENEA, che ha presentato una ricerca relativa alla natura dei rifiuti rinvenuti sui nostri lidi. Tra i più diffusi troviamo i cotton fioc (che spesso vengono gettati con noncuranza negli scarichi dei nostri water), i pallet e il polistirolo espanso.
Anche la Dottoressa Maria Cristina Fossi dell'Università di Siena ha offerto un valido apporto all'analisi del marine litter, facendo riferimento al progetto Plastic Busters. Questo progetto ha come obiettivo quello di combattere l'inquinamento dei nostri mari, sviluppando azioni concrete per prevenire e ridurre le aree in cui i rifiuti si accumulano. Tra i passaggi più importanti dell'intervento, la correlazione tra marine litter e biodiversità: è stato dimostrato, infatti, che i rifiuti plastici in mare provocano stress multipli dal punto di vista patologico e tossicologico agli organismi.
I numeri sul marine litter non ci lasciano molta scelta. È necessaria una comunione di intenti e nuove tutele per assicurare la salute del mare e degli organismi che lo popolano, investendo sull'unica, vera economia del futuro: la circular economy.
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