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Alla faccia della circolarità dell’economia, al taglio dei consumi e delle emissioni: i rifiuti plastici delle grandi potenze occidentali continuano a salpare verso le coste dei paesi dell’Asia sud orientale e, in quella zona, le acque ora sembrano più agitate che mai.
Economia circolare: forse è ancora troppo presto per cantar vittoria. Stando alle ultime notizie che arrivano dal sud-est asiatico sembra che, nonostante gli impegni di piccole e grandi realtà di tutto il mondo, la sempre più forte attenzione delle popolazioni e la grande propaganda socio-politica, di strada da fare ce ne sia ancora davvero tanta da fare.
L’allarme arriva dalle Filippine: il presidente Rodrigo Duterte ha detto basta ai rifiuti. Fin qui niente di eclatante, si potrebbe pensare qualcosa tipo: “anche le Filippine si stanno muovendo per promuovere il riciclo e limitare gli sprechi”. E invece no, i rifiuti ai quali Duterte ha imposto lo stop non sono quelli prodotti dalla popolazione filippina stessa quanto piuttosto i container carichi di scarti plastici che il Canada ha smaltito spedendoli, e continuando a spedirli, nel paese asiatico.
La situazione nel sud-est asiatico sta diventando sempre più grave e tutta la regione ha in un certo senso acquisito il ruolo di discarica personale delle grandi potenza occidentali. Del già citato Canada, ma non solo: anche Australia, Usa, Regno Unito, Francia, Spagna, Germania e Giappone sono soliti trasportare e accumulare i propri rifiuti in paesi dell’Asia sudorientale, come appunto nelle Filippine, ma anche in Vietnam, Malesia e Thailandia.
Stando ai dati raccolti su scala mondiale, solo il 9% del totale dei rifiuti plastici prodotti viene riciclato, il restante 91% è destinato alle discariche dei paesi succitati oppure, cosa forse ancor peggiore, viene bruciato illegalmente.
La situazione pare essere precipitata nel momento in cui il governo cinese ha chiuso le porte ai rifiuti in ingresso nel proprio paese, causando così una maggiore concentrazione di scarti nei restanti paesi dell’area. Ma le reazioni ora sono cominciate, i governi asiatici hanno cominciato a rispedire al mittente i container stipati di rifiuti e il governo filippino ha oltretutto minacciato il Canada di interrompere definitivamente ogni tipo di rapporto con il paese nordamericano se i suoi rifiuti non dovessero fare ritorno da dove son partiti.
La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento metterà un freno a questi traffici ma purtroppo entrerà in vigore soltanto il prossimo 2020.
Gli aspetti negativi sono tanti in questa questione: si parla di riduzione dei consumi e di norme per contenere l’innalzamento della temperatura, per limitare le emissioni di gas serra e nonostante ciò, paesi che si mostrano virtuosi in casa propria con iniziative all’apparenza lodevoli allo stesso tempo nascondono i panni sporchi in casa dei paesi meno sviluppati. Il tutto tramite rotte navali intercontinentali già esse stesse responsabili di inquinamento marino.
GAIA – Global Alliance for Incinerator Alternatives – in un rapporto ha infatti dimostrato come tali rotte provochino una grande dispersione di inquinanti nelle acque dell’Asia Sud Orientale, avvelenando e distruggendo colture e spianando la strada alla diffusione di varie malattie.
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