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Il 90% degli uccelli marini è contaminato dalla plastica: mentre il fenomeno dei rifiuti plastici negli oceani continua a crescere, alcune multinazionali iniziano a individuare le prime concrete soluzioni per il riciclo e il riuso della materia prima.
Dai mari allo stomaco degli animali, forse fino al nostro: la plastica contamina troppi livelli della catena alimentare. La presenza di rifiuti plastici nei mari è un tema che le associazioni per la tutela dell’ambiente denunciano da anni a gran voce; purtroppo gli effetti negativi si fanno sempre più evidenti mano a mano che il fenomeno continua a crescere.
Oggi è impossibile minimizzare o essere negazionisti: per la prima volta, il documentarista Luigi Bignami è riuscito a filmare il momento in cui un minuscolo organismo planctonico ingerisce una fibra di plastica. Da qui, le fibre plastiche si trasferiscono negli animali che si nutrono di plancton, come il maestoso squalo balena o i più comuni pesci che finiscono sulle nostre tavole.
Poche sono le speranze di scampare a questa minaccia, anche per gli uccelli marini: secondo le stime del WWF, il 90% della popolazione mondiale di uccelli marini ha tracce di plastica nel proprio corpo e si prevede un aumento della percentuale fino al 95% entro il 2020. Metà delle tartarughe, denuncia l’associazione, ha nello stomaco sacchetti di plastica.
Ad essere colpiti non sono soltanto gli oceani: al contrario, un recente studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Italiano di Scienze Marine, del Cnr di La Spezia, hanno riscontrato concentrazioni di microplastica tra le più alte al mondo nel Mediterraneo: la sua conformazione chiusa, con scarsi sbocchi verso l’oceano, favorisce la stagnazione di questi pericolosi rifiuti.
La sfida da affrontare è duplice: da una parte il recupero del materiale plastico attualmente presente nelle acque, dall’altra il rafforzamento di una filiera che permetta il riciclo, il riuso e il corretto smaltimento.
Su quest’ultimo fronte stanno scendendo in campo realtà che forse non ci saremmo aspettati, come multinazionali dell’IT e del fashion. Un esempio? Dell ha recentemente annunciato il primo packaging realizzato con plastica riciclata recuperata dagli oceani, grazie a un programma pilota che costituisce un’assoluta novità nel campo dell’industria tecnologica. C’è chi crea imballaggi e c’è chi crea vestiti: H&M ha annunciato la prima collezione realizzata con polimeri raccolti negli oceani. Gli abiti saranno negli store a partire dal 20 aprile e sono stati realizzati grazie alla collaborazione con BionicYarn. La multinazionale non è l’unica a far incontrare sostenibilità e moda puntando sul recupero della plastica: anche Timberland ha lanciato una nuova linea di zaini, scarpe e abbigliamento con capi realizzati a partire dal riciclo delle bottiglie di plastica raccolte dalle strade e dalle discariche di Haiti.
Purtroppo si tratta di esempi che ancora non permettono di affermare che la soluzione al problema è vicina, ma lasciano ben sperare quantomeno riguardo a una presa di coscienza sempre più diffusa.
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