Scavi di fondali marini: un occhio di riguardo per l’ambiente

Scavi di fondali marini: un occhio di riguardo per l’ambiente

Il Ministero dell’Ambiente detta procedure unificate a livello nazionale per garantire la corretta esecuzione in accordo con principi di tutela e salvaguardia

Il tema del dragaggio e scavo dei fondali marini riveste, in Italia, una posizione centrale nell’ambito delle politiche sia infrastrutturali sia turistiche. Il ricorso alle operazioni di dragaggio (ovvero lo scavo di fondali tramite piattaforme galleggianti mobili), infatti, è sempre più frequente sia all’interno delle aree portuali, dove i sedimenti vengono rimossi dall'area oggetto di scavo per  consentire l’accesso a imbarcazioni (commerciali e da turismo) di grandi dimensioni, sia nei tratti di mare aperto, dove i sedimenti vengono prelevati per alimentare tratti di arenile esposti a fenomeni erosivi (cosiddetto ripascimento). Non va poi dimenticato che tutte le operazioni di interramento sottomarino di linee (gasdotti, telecomunicazioni, ecc.) comportano la movimentazione di ingenti quantitativi di materiale derivante da fondali.

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Tuttavia, questa tipologia di operazione presenta profili di rischio ambientale di almeno due tipi.

In primo luogo, i sedimenti provenienti da aree portuali, per le attività comunemente svolte, contengono elevate concentrazioni di inquinanti che, una volta sversati in mare aperto, danno luogo a fenomeni di inquinamento diffuso.

In secondo luogo, le operazioni di scavo sottomarino finiscono quasi inevitabilmente per alterare i parametri chimico-fisici e biologici dell’area interessata (generalmente indicata come colonna d’acqua).

Non a caso, il tema dei dragaggi e degli scavi di fondali marini da tempo è regolamentato da provvedimenti tanto del legislatore quanto di istituti di ricerca (Ispra e Arpa locali) ed enti locali, con la conseguenza che spesso le procedure differiscono da regione a regione, facendo mancare un quadro di riferimento unitario per gli addetti ai lavori.

Anche in risposta a questa esigenza, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha recentemente emanato il decreto 15 luglio 2016, n. 173, che ha introdotto modalità e criteri tecnici uniformi a livello nazionale per la richiesta e l’eventuale rilascio dell'autorizzazione all’immersione in mare di materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, di cui all'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 152/2006 (cosiddetto testo unico ambientale).

Punto di partenza della procedura è la compilazione, da parte del soggetto richiedente l’autorizzazione, di una scheda di inquadramento dell’area di scavo, che deve riportare una mappatura della zona, un riepilogo delle principali caratteristiche idrodinamiche e chimico-fisiche più i dati su eventuali attività di scavo pregresse. Il documento deve essere aggiornato ogni 2 anni o a seguito di eventi eccezionali. Oltre alla scheda, il soggetto deve anche indicare a quali soluzioni tecniche intenda ricorrere per gestire i materiali derivanti dall’attività di scavo.

Una volta completata la documentazione, la richiesta viene inoltrata alla regione o (laddove esista) alla commissione consultiva locale per la pesca e l’acquacoltura, che hanno 90 giorni per pronunciarsi, salvo che il Ministero dell’Ambiente (che resta comunque l’autorità competente) richieda approfondimenti, eventualmente anche a soggetti terzi. Se nulla osta, le operazioni di scavo e/o dragaggio possono prendere il via, fermo restando che l'autorizzazione copre la sola durata dei lavori e, in ogni caso, superati i tre anni, deve essere rinnovata.

Da notare, infine, come Ispra abbia provveduto a pubblicare sul proprio sito web modelli di documentazione e un software di supporto all’applicazione delle disposizioni contenute nel D.M. n. 173/2016, a riprova del fatto che l’uniformità delle procedure sia (unitamente alla tutela ambientale)  l’obiettivo principale del nuovo decreto.

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