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La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha recentemente stabilito che al proprietario incolpevole non spetta alcun obbligo di ripristino, anche se il responsabile dell’inquinamento è irreperibile.
Il tema della bonifica dei siti contaminati e delle acque di falda risulta estremamente trasversale, raggruppando in sé aspetti di carattere ambientale, sanitario, economico, sociale (si pensi alla destinazione d’uso delle aree decontaminate) e, ovviamente, giuridico. In particolare, uno dei temi più dibattuti nelle aule di tribunale, a parziale compensazione di un’evidente lacuna legislativa, riguarda i profili di responsabilità dei proprietari dei siti, sia che essi risultino gli “autori” dell’episodio relativo all’inquinamento sia nel caso in cui (e qui la questione si spinge al limite del paradosso) siano chiamati a sanare una situazione pregressa della quale non sono in alcun modo responsabili.
Su quest’ultima fattispecie è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che, con la sentenza del 4 marzo 2015, pronunciata nella causa C 534/13, ha stabilito l’impossibilità di imporre al proprietario incolpevole qualsiasi intervento riparatorio, anche nel caso in cui il responsabile effettivo risulti irreperibile o non possa provvedere alla bonifica. La pronuncia, va detto, si limita solo a escludere la possibilità di rivalersi sul proprietario incolpevole, senza aggiungere considerazioni su come intervenire in assenza di responsabilità; d’altro canto, ricorda la stessa Corte di Giustizia, stabilire quali misure di risanamento mettere in atto in casi analoghi, eventualmente coinvolgendo anche soggetti esterni all’inquinamento, resta facoltà di ciascun Stato membro.
Non a caso, la vicenda ha avuto inizio con un provvedimento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in base al quale tre società acquirenti di aree già contaminate avrebbero dovuto predisporre comunque le misure di messa in sicurezza e, successivamente, di bonifica; il dicastero giustificava questa sua decisione in base alla necessità di mettere in atto principi riparatori urgenti ricorrendo a un’interpretazione ampia del ben noto principio “chi inquina paga”.
Dopo un ricorso al TAR Toscana, la vicenda è approdata all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la quale, se da un lato ha ribadito l’impossibilità, per il Ministero dell’Ambiente, di imporre al proprietario “incolpevole” di un’area inquinata misure riparatorie, dall’altro ha posto in discussione la compatibilità tra il quadro legislativo italiano e quello comunitario in merito al principio del “chi inquina paga” e altre misure di risanamento, con particolare riferimento alla suddivisione delle responsabilità tra responsabili dell’inquinamento e proprietari del sito. Di conseguenza, la vicenda si è spostata nelle aule della Corte di Giustizia Ue, dove è stata ribadita la conformità della legislazione italiana (D.Lgs. n. 152/2006 e successive modifiche) al diritto comunitario (direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004) per quanto riguarda la limitazione degli obblighi a carico del proprietario incolpevole, compreso il fatto che l’eventuale estensione a soggetti non responsabili resti a discrezione di ogni singolo Stato membro.
La sentenza, in definitiva, introduce un principio importante che, tuttavia, non sana completamente una lacuna normativa che richiederebbe, in via definitiva, un intervento del legislatore.
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