Una ricerca della Commissione Europea prende in esame la scarsa qualità dei filati e le fasi di realizzazione dei capi di abbigliamento e analizza quanto questi elementi incidano sui volumi di acquisto. Storia ordinaria di consumismo natalizio.
Perché l’industria tessile sembra essere ancora retta da criteri iperconsumistici? Il mercato dell’abbigliamento continua a essere profondamente influenzato da cattive abitudini dure a sradicarsi, che emergono particolarmente nel periodo di Natale. Un fenomeno complesso sul quale si è espressa anche la Commissione Europea, provando a definire obiettivi e buone pratiche. In un report di recente pubblicazione, infatti, mette in guardia sulla pericolosità del settore individuando in modo analitico i fattori di maggiore rischio.
Lo studio della Commissione Europea
Alla base delle valutazioni comunitarie, c’è una ricerca che analizza 1500 capi di abbigliamento donati in beneficienza a enti britannici poiché non in condizioni di essere venduti in circuiti second hand. Lo studio è stato condotto in egual misura su capi per donna, uomo e bambini, e i numeri sono eloquenti. Jersey e jeans sono – rispettivamente al 60 e all’86% – interessati dallo sbiadimento dei colori dovuto all’utilizzo di coloranti chimici molto aggressivi. Prodotti che, se da una parte accelerano il processo di colorazione, dall’altro hanno una resa molto limitata nel tempo. La presenza di pallini, invece, è registrata sul 55% dei capi esaminati, e in particolare sull’83% di quelli in maglia e in jersey. Un problema riconducibile alla scarsa qualità dei filati più economici composti da fibre più corte.
Circolarità e ciclo di vita dei prodotti
Del resto, il ready-to-wear, prima, e il fast fashion, poi, hanno definito regole sempre più rigide e deleterie. Dapprima imponendo una competitività sfrenata che ha penalizzato artigianalità e piccole imprese. Ma che subito dopo ha rivelato anche i danni sull’ecosistema che sono stati taciuti per troppo tempo. Per fortuna, però, iniziano ad accendersi i riflettori su una moda più consapevole, sia nella produzione che nella fruizione. Ad esempio, la Strategia dell'UE per prodotti tessili sostenibili e circolari propone due linee di azione. La prima punta alla sensibilizzazione del consumatore al fine di allungare il ciclo di vita del singolo indumento. Anche attraverso alcuni accorgimenti e attenzioni, come programmi e temperature in lavatrice, ad esempio. La seconda si rivolge alle aziende produttrici, incentivando innanzitutto la produzione di tessili di maggiore qualità. Perché garantire un ciclo di vita più lungo parte proprio da qui: dalla consapevolezza che un capo è realizzato per durare.
La lunga stagione degli acquisti compulsivi
Basti pensare a come, in un periodo che idealmente parte con il Black Friday, procede con i regali di Natale e si chiude con i saldi invernali, i consumatori siano continuamente martellati da messaggi che inducono all’acquisto. Un impulso quanto mai tangibile nel settore dell’abbigliamento, oggetto di periodiche ondate di “nuovi arrivi”. Non si tratta, infatti, solo di necessità stagionali legate al materiale dei capi che si adatta al clima esterno. L’industria della moda si basa su un sistema – diventato via via sempre più sofisticato – di persuasione all’acquisto al grido di “nuovo è bello”. Anzi: nuovo è necessario. Elementi, questi, che da culturali e sociali sono diventati inevitabilmente ambientali e che sono ben evidenziati nel saggio pubblicato dal Journal of Cleaner Production lo scorso giugno. Il paper concentra l’attenzione sull’attuale catena di produzione, commercio e fruizione dell’abbigliamento che, in sostanza, si profila come insostenibile.
Le nuove creazioni che sfilano in passerella, i must-have, i capi cult che incarnano lo spirito del tempo altro non sono che alcuni dei riverberi consumistici del fashion system. Modalità che provvedono ad accorciare il ciclo di vita e a percepire gli acquisti come di minore valore. Perciò visto anche il periodo, in linea con buoni propositi e auspici, la speranza è proprio quella che anche i consumatori possano comprare con maggiore consapevolezza. Un acquisto pensato con criterio incide nettamente meno non solo sull’ambiente e sulla salute, ma anche sul portafogli.
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