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La direttiva, ancora in fase di studio, prevede l’uso di parametri tecnici a supporto delle dichiarazioni sui prodotti sostenibili, false in oltre il 50% dei casi secondo i dati della Commissione.
Alla fine dello scorso anno il Consiglio dell’UE ha presentato alla Commissione un primo set di richieste riguardo la prossima direttiva per la tutela dei consumatori nei confronti di pratiche e prodotti falsamente sostenibili ed ecologici.
La direttiva, annunciata a marzo 2022, è ancora in fase di definizione, ma il Consiglio ha espresso il supporto degli Stati membri e garantito la piena partecipazione al processo decisionale, confermando la disponibilità all’approvazione del testo.
La direttiva, che dovrebbe essere finalizzata entro la fine dell’anno, tutelerà i consumatori europei dal cosiddetto “greenwashing”, ovvero dalla pratica scorretta di dichiarare un prodotto, un servizio o una azienda come “sostenibile”, “ecologica” o “rispettosa dell’ambiente” senza fornire alcun dato per dimostrare la veridicità dell’affermazione.
Durante la preparazione degli studi da presentare al Consiglio, i tecnici della Commissione hanno rilevato come il 53% delle pubblicità a tema sostenibile sia sostanzialmente infondato, delineando i contorni di un mercato che tenta di approfittare dell’ingenuità e della buona fede dei consumatori.
Al fine di tutelare i consumatori, la norma proposta dalla Commissione prevede che le aziende che fanno “dichiarazioni ecologiche” dovranno fornire una valutazione dei propri prodotti utilizzando la metodologia dell'impronta ambientale del prodotto (PEF) o applicando metodologie alternative attualmente in fase di studio dai tecnici di Bruxelles.
Il PEF, nello specifico, è un metodo di analisi dell’impatto ambientale di un prodotto sviluppato dalla Commissione Europea, in concerto con le realtà produttive del continente, tra il 2014 ed il 2016, e si propone di essere un metro unico e standardizzato al livello internazionale della sostenibilità di un bene e del suo processo di produzione. La peculiarità del PEF è che non è universalmente applicabile ad ogni bene o metodo di produzione, ma è concepito per valutare solo alcuni prodotti e le rispettive catene produttive, focalizzandosi in particolare su quelle produzioni che possono essere meno sostenibili o che necessitano maggior controllo, al fine di garantire una valutazione specifica ed obiettiva delle realtà prese in analisi.
Le organizzazioni per la tutela dei consumatori e le organizzazioni ambientaliste si sono già schierate a favore della norma, che non ha ancora superato la prima lettura in Parlamento, ma hanno anche avvertito che un uso improprio del PEF o una nuova serie di metodologie di analisi dell’impatto ambientale potrebbero comunque consentire ad alcune aziende di dipingersi come più sostenibili di quanto non siano.
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