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Misurare la performance della comunicazione - anche quella green - è oggi sempre più importante. Abbiamo intervistato Stefania Romenti per conoscere meglio i nuovi strumenti di misurazione stabiti da AMEC: Barcelona principles 2.0.
In occasione dell’ultimo Congresso AMEC (International Association for Measurement and Evaluation of Communication), sono stati revisionati i Principi redatti nel 2010 sulla misurazione delle performance delle attività di comunicazione. Ne abbiamo parlato con Stefania Romenti, professore di Corporate communication presso l’Università IULM di Milano.
In che misura i principi modificati da Barcelona 2.0 potranno arricchire l’attività di comunicazione?
"I Barcelona principles 2.0 dell’AMEC arricchiscono a mio avviso l’attività di comunicazione in due sensi. Prima di tutto ci dicono che siamo in un mondo interconnesso in cui il comunicatore deve non solo misurare i risultati delle singole campagne media in modo isolato, ma anche calcolarne le reciproche influenze. Cioè chiedersi in che modo i media tradizionali influenzano le conversazioni in rete sul proprio brand e la propria azienda e viceversa. Ci sono molte sperimentazioni in tal senso da cui emergono dati interessanti di cui ogni azienda dovrebbe tenere conto. Abbiamo recentemente svolto una ricerca per un grande gruppo bancario in cui è emerso che il 90% delle conversazioni online nascono da un piccolissimo numero di fonti e che i giornalisti influenzano una bassissima percentuale di conversazioni online. Questi meccanismi non sono ovviamente generalizzabili, ma dipendono dall’azienda e dalla industry di riferimento. E misurano i risultati dell’azienda in un mondo interconnesso.
In secondo luogo, i principi AMEC dicono che la misurazione è un’attività che va a buon fine solo se il progetto/processo/strumento da misurare è impostato in modo corretto. Laddove c’è un pensiero strategico da cui il progetto di comunicazione ha origine, si potranno raccogliere risultati utili per la propria attività. Laddove il pensiero strategico manca le potenzialità della misurazione sono molto più limitate. Ecco che i Barcelona principles 2.0 ci dicono che partire da obiettivi chiari e misurabili è il primo passo da compiere. In quanto definire obiettivi misurabili ci costringe a riflettere in termini di cosa ci aspettiamo che avvenga nei nostri pubblici, quali effetti ci aspettiamo di causare, in chi e in quanto tempo. Queste sono domande chiave perché gli sforzi di misurazione vadano a buon fine e servano a prendere delle adeguate decisioni."
Nel criteri guida si parla di trasparenza, qualità e omnicomprensività: qual è il suo parere in merito come studioso della materia?
"Questi criteri sono estremamente importanti perché mettono in guardia i comunicatori dall’utilizzare etichette fuorvianti che nascondono risultati poco significativi. Prendiamo come esempio gli indici di qualità della visibilità della copertura media che si sono moltiplicati negli ultimi anni. Dietro a indici dai nomi piuttosto fantasiosi, si nasconde un sottobosco di misure più o meno significative. Se partiamo dal presupposto, mi auguro condivisibile, che una buona copertura media sia quella che riporta in modo accurato i messaggi chiave che l’azienda voleva diffondere, possiamo concludere che più della metà degli indici utilizzati dalle aziende non misurano la qualità della visibilità media, ma tutt’altro. Prendiamo un altro esempio. L’etichetta di ROI della comunicazione sul quale il dibattito continua e nemmeno i Barcelona Principles 2.0 sono riusciti a fare piena luce. Dietro a questa etichetta si nasconde una marea di formule zoppicanti, risultati fumosi, visioni tattiche anziché strategiche. Applicare i principi di qualità e trasparenza significa dunque ragionare su cosa sta dietro a queste etichette, parlare di contenuti, di cosa è opportuno misurare, prima ancora di come lo si fa.
Il concetto di omnicomprensività sottolinea che tutto va misurato e si può misurare. Siano essi prodotti di comunicazione, processi più complessi, campagne singole. Misurare serve a gestire meglio, e senza misure noi rischiamo di navigare a vista senza sapere se la direzione nella quale stiamo investendo le risorse è quella migliore."
E’ opinione comune che l’attività di comunicazione sia molto più valorizzata in Paesi come UK, Spagna, Nord Europa che non da noi: a suo avviso la condivisione di piattaforme comuni può agevolare un miglior posizionamento per le realtà italiane?
"Assolutamente si, per piattaforme comuni possiamo intendere spazi di scambio di esperienza, standard e metodi. Sicuramente quello che serve è scambio di best practices, di conoscenze per creare una cultura comune della misurazione. In Italia l’opinione più diffusa è che misurare bene implichi pagare una società di ricerca fior di quattrini per ottenere delle sofisticatissime analisi di dati. Misurazione prima di tutto è ragionamento strategico su quali sono i risultati che mi aspetto di raggiungere. E quello che più sorprende quando le aziende straniere presentano le proprie esperienze di misurazione ai convegni internazionali, è che si tratta di esperienze semplici, in cui si ragiona sui contenuti dei risultati senza sofisticazioni e analisi troppo complesse. Nei paesi menzionati si è forse capito che la forza della misurazione sta prima di tutto nel selezionare COSA si misura, prima ancora di COME lo si fa."
Tornando al criterio della misurazione, se dovesse suggerire un vademecum alle realtà aziendali made in Italy quali quelle appartenenti ad Unicom, su quali aspetti punterebbe?
"Partirei con il fare capire che non esiste una misurazione made in Italy o made in UK, ma una misurazione che in tutto il mondo parte dagli obiettivi del progetto e vi ragiona sopra. Questo non significa che la misurazione non dipenda dalla cultura del contesto in cui viene realizzata. Ma parliamo di cultura dell’impresa in cui avviene. Ogni azienda ha un suo vissuto della misurazione, e questo va studiato e capito a fondo prima di proporre misure e metriche. Ci sono imprese dove la misurazione è concepita come punitiva, pericolosa e quindi viene ostacolata. In queste imprese la misurazione deve essere attuata con gradualità e scelte giuste che non portino al suo fallimento."
STEFANIA ROMENTI è professoressa di Corporate communication presso l’Università IULM di Milano. Insegna “Relazioni pubbliche progredito” e “Misurazione della performance della comunicazione” all’Università IULM ed è Adjunct Professor alla IE Business School (Madrid) dove insegna “Measuring Intangibles and KPI’s in Communication”. È vice-direttore del Master Executive in Relazioni pubbliche d’impresa organizzato dall’Università IULM in collaborazione con FERPI e Assorel. E’ componente del Nucleo di Valutazione dell’Università di Pavia. E’ Head of Scientific Committee di EUPRERA, l’Associazione Europea dei docenti e dei professionisti di relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa). E’ membro dell’Associazione of Measurement and Evaluation of Communication (AMEC).
Svolge da oltre un decennio ricerca e formazione sui temi della misurazione e della valutazione della comunicazione.
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