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Tu sei pronto per l'EAA? Nel silenzio generale che spesso accompagna i grandi cambiamenti normativi, c’è una scadenza che si avvicina a grandi passi e che rischia di cogliere impreparate migliaia di aziende italiane: il 28 giugno 2025 entrerà ufficialmente in vigore l’European Accessibility Act (EAA), la direttiva europea che impone l’accessibilità digitale per prodotti e servizi, e che potrebbe riscrivere – per chi saprà coglierla – le regole dell’inclusione nel mondo digitale. Il principio è semplice e potente: ogni cittadino europeo, a prescindere dalle sue capacità fisiche o cognitive, ha il diritto di accedere a contenuti digitali, servizi online, piattaforme di e-commerce, app e siti web. Per le imprese italiane, significa un adeguamento obbligatorio a standard di accessibilità oggi spesso disattesi, soprattutto nel mondo privato, dove il concetto di “inclusione digitale” è ancora visto come un extra facoltativo e non come un obbligo civile e giuridico. L’Italia ha recepito la direttiva europea nel luglio 2022 con il Decreto Legislativo 82/2022, ma ad oggi la consapevolezza della sua portata è ancora marginale.
Mentre la Pubblica Amministrazione era già vincolata alla Legge Stanca del 2004, che imponeva l’accessibilità dei siti istituzionali, l’EAA estende per la prima volta l’obbligo anche ai privati. Le imprese coinvolte sono molte più di quanto si creda: banche, assicurazioni, aziende che gestiscono e-commerce, fornitori di contenuti digitali, editori, produttori di software, sviluppatori di app. Chiunque offra servizi digitali al pubblico è chiamato a conformarsi. Eppure, a meno di un anno e mezzo dalla deadline, la sensazione è che il tessuto produttivo italiano non sia affatto pronto. Non esistono al momento campagne informative diffuse, né strategie di accompagnamento strutturate a livello istituzionale. Le grandi imprese si stanno muovendo in ordine sparso, mentre le PMI – che costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana – sembrano in larga parte inconsapevoli di ciò che li attende. È la solita retorica dell’adeguamento dell’ultimo minuto, ma qui il rischio è più ampio: si parla di esclusione, discriminazione digitale, perdita di competitività e potenziali sanzioni. Il tema non è solo tecnico, ma culturale. Pensare l’accessibilità come un costo anziché come un investimento è l’equivoco più pericoloso. Rendersi accessibili non significa soltanto rispettare una norma: significa parlare a più persone, raggiungere pubblici finora esclusi, migliorare l’esperienza utente per tutti. Non è un favore alle minoranze, ma una trasformazione strutturale dell’ecosistema digitale, capace di generare valore condiviso.
Le WCAG – Web Content Accessibility Guidelines – non sono una prigione di regole: sono uno strumento per costruire contenuti migliori, più chiari, più usabili. In questo scenario, la responsabilità cade anche su chi informa. Le testate giornalistiche digitali, ad esempio, saranno chiamate ad adeguarsi. E non solo dal punto di vista tecnico. Ogni immagine senza alt text, ogni video senza sottotitoli, ogni sito inaccessibile da tastiera, ogni contrasto cromatico debole o struttura caotica, diventa una barriera. In un mondo in cui l’informazione corre online, l’accessibilità è un prerequisito democratico. AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, è l’organo di vigilanza sul rispetto della normativa. Ma non si tratterà solo di ispezioni e verbali: le organizzazioni della società civile, le associazioni di tutela dei diritti delle persone con disabilità, i singoli cittadini, potranno segnalare inadempienze, e il contenzioso legale potrebbe diventare una nuova frontiera della responsabilità digitale. Non è difficile immaginare cosa accadrà nel 2025 se le imprese italiane non si muoveranno per tempo. Ritardi, corse all’ultimo minuto, adeguamenti frettolosi, siti rattoppati e app inaccessibili. Ma è anche possibile immaginare un altro scenario: aziende lungimiranti che colgono l’EAA non come un fardello, ma come un’occasione per distinguersi, investire in comunicazione etica, aprirsi a nuovi mercati e raccontare l’innovazione attraverso la lente dell’inclusività. La tecnologia, dopotutto, dovrebbe servire a colmare distanze, non ad amplificarle. L’accessibilità non è un optional per pochi: è il futuro per tutti. E quel futuro ha una data. Tu sei pronto per l’EAA?
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