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Un rapporto di CFA Institute evidenzia come la finanza non possa ancora contare su definizioni standardizzate inerenti alle attività definibili sostenibili.
Oggi tutti parlano di transizione ambientale, di rivoluzione verde, un cambiamento epocale che nasce da buoni propositi ma che soprattutto è la risposta ad una situazione di crisi ed emergenza dettata dagli alti livelli di inquinamento provocati dalle attività umane. Anche il mondo degli investimenti finanziari ha da alcuni anni abbracciato la sfida verde e ha iniziato a dotarsi di strumenti per accelerare il sostegno ad un’economia che sia sempre più sostenibile. Il problema però, come mette in luce uno studio pubblicato di recente da CFA Institute, l’ente di ricerca internazionale specializzato sui rapporti tra finanza e clima, è che ad oggi il mondo delle imprese e degli investitori non può contare ancora su definizioni standardizzate della finanza green, su regole condivise sulle attività che possono essere definite sostenibili, anche perché manca una governance globale sulla materia.
Tenendo conto del complesso panorama di considerazioni economiche, normative, ambientali e tecnologiche, si legge nel rapporto, “la finanza di transizione richiede uno sforzo collaborativo per avere successo”. La sostenibilità infatti “richiede un significativo cambiamento di paradigma per incorporare la finanza di transizione. Tutte le parti interessate nel sistema finanziario di transizione devono coltivare nuove competenze, stabilire nuove priorità e, soprattutto, abbracciare una nuova mentalità. La sinergia di collaborazione è fondamentale per ottenere il cambiamento e consentire ai finanziamenti per la transizione di svolgere un ruolo maggiore nel sostenere gli obiettivi di zero emissioni nette”.
Lo studio mette in evidenzia innanzitutto come ad oggi la finanza green non può ancora agire secondo definizioni, criteri e obiettivi condivisi. Governi, aziende e gestori patrimoniali finiscono in tanti casi così per mettere in atto strategie per decarbonizzare i settori ad alte emissioni e promuovere la finanza di transizione con modalità divergenti, con conseguenti disallineamenti ed incoerenze. Così, alcuni governi esprimono un interesse nel mobilitare gli investimenti del settore privato per il finanziamento della transizione, ma non dispongono di tassonomie consolidate che definiscano le attività ammissibili. Alcune aziende ad alte emissioni cercano invece finanziamenti esterni per la decarbonizzazione, ma devono ancora formulare piani di transizione completi.
CFA Institute chiede innanzitutto maggior trasparenza nella pubblicazione dei dati, rendendo pubbliche sia le emissioni del portafoglio sia i progressi messi in atto sul fronte della decarbonizzazione, stabilendo gli obiettivi in materia del suo portafoglio. Sarebbe poi auspicabile che la remunerazione e gli incentivi dei dirigenti delle aziende venissero legate alla performance di decarbonizzazione, in modo da fornire agli investitori la garanzia dell’impegno dei manager nel raggiungimento dei propri obiettivi. I governi e le autorità di regolamentazione dovrebbero quindi collaborare in modo più attivo con le parti interessate del settore per sviluppare tassonomie di transizione, armonizzare le informazioni sui piani di transizione e richiedere informazioni sulla fattibilità economica.
Immagine di copertina: ZbynekBurival, Unsplash
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