Ultime Notizie
Ci sono molti modi per combattere il fast fashion: uno di questi sono i deadstock. Una dimensione tra riuso e upcycling che, nella moda, sta aprendo da qualche tempo a nuovi e interessanti spiragli.
Cosa sono i deadstocks?
In sostanza, avanzi di magazzino. Non rimanenze dovute alle cattive condizioni dei tessuti o alla presenza di difetti. Anzi, molto spesso si tratta di tessuti in ottime condizioni che, però, si sono rivelati incongruenti con l’attesa del committente. Una sfumatura di colore, una stampa o una fantasia lievemente diversa, una produzione sovrabbondante che rimane invenduta… Le cause all’origine di questi scampoli sono molteplici.
Vuoi scoprire di più sulle imprese e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile?
Scarica gratuitamente l'abstract del nostro eBook!
Clicca quiCome cambia il mondo della moda
La scorsa estate il portale Earth.org ha stilato un decalogo sui trend di moda nocivi alla salute del pianeta. Tra questi, la produzione incontrollata di abiti secondo le regole del sistema fast fashion. Un sistema che non fa che produrre rifiuti: sia di abiti confezionati, sia dei tessuti con cui sono prodotti. Ogni anno, si stima vengano prodotti 100 miliardi di capi. Di questi, 92 milioni di tonnellate si trasformano in rifiuti. Una mole che già spaventa così, basti pensare alle disastrose conseguenze in atto in paesi come il Ghana.
Fast fashion, fast waste
Ma per avere un quadro ancora più completo e allarmante, è necessario volgere lo sguardo ai futuri sviluppi di questa cattiva abitudine. Negli ultimi 15 anni, il numero di volte in cui un capo viene indossato prima di essere buttato si è ridotto del 36%. E a questo enorme volume in costante aumento ogni giorno di rifiuti tessili globale, si aggiungono i deadstock. Il problema che ne deriva è anche di natura economica: approssimativamente, questi tessuti inutilizzati comportano una perdita di 120 miliardi di dollari.
Un’attenzione crescente
Dunque, l’imperativo è cambiare prospettiva e vedere i deadstock come una risorsa. E sembrano esserci tutti gli elementi per farlo. Elementi inizialmente emersi durante la pandemia, quando difficoltà di approvvigionamento e aziende fornitrici collocate in posti lontani rispetto ai luoghi di trasformazione erano un discrimine importante. Anche per questi motivi, infatti, la produzione tessile appariva un’attività fortemente compromessa, mettendo a dura prova soprattutto la sopravvivenza delle piccole aziende.
Le regole che servono ai deadstock
I presupposti sono buoni, anzi, ottimi. Tuttavia, è arrivato il momento di definire dei range per permettere a designer emergenti e piccole aziende di lavorare in serenità. A partire da una definizione chiara, ad esempio: quanto deve passare un tessuto in magazzino prima di essere definito deadstock? Inoltre, immettere questi tessuti in un sistema circolare è apprezzabile, ma che ne è del loro livello di sostenibilità? L’utilizzo di questi scarti di magazzino non deve generare equivoci: essi non comportano una sorta di eco-compatibilità di default. Anche i processi e le sostanze legati alla trasformazione e alla commercializzazione dei deadstock dovrebbero essere passibili di verifica. In altre parole: bene unire un vantaggio economico a uno ambientale utilizzando i tessuti invenduti, ma a questa scelta deve accompagnarsi una reale consapevolezza di sostenibilità da parte delle aziende. Su sostanze chimiche, finissage e modalità di distribuzione, ad esempio.
Gli aspetti legislativi
È necessario interrogarsi su ogni aspetto di questa tematica per far sì che sia a tutti gli effetti una risorsa, senza ombre di sorta. In questo periodo le istituzioni europee iniziano a prendere posizioni sempre più nette su tematiche come greenwashing e obsolescenza, anche nel settore moda. Così come, anche i governi nazionali si stanno interfacciando in modo sempre più concreto con queste tematiche. Basti pensare al percorso che la Francia sta compiendo per sanzionare e disincentivare il fast fashion. O anche all’Italia e al decreto per i rifiuti tessili in fieri. E bisognerebbe ascrivere anche i deadstock a questa serie di provvedimenti per far sì che quella che lega moda e sostenibilità sia percepita come una vera e propria tematica organica e coesa.
Immagine di copertina: Annie Spratt, Unsplash
Tags:
Potrebbero interessarti ...
Moda e beauty: quanta sostenibilità c’è nei colori?
28 Agosto 2024L’UE contro greenwashing e obsolescenza (anche nella moda)
19 Agosto 2024La fibra di capelli e gli altri orizzonti del nuovo tessile
19 Giugno 2024Perché i deadstock sono sempre più centrali nella moda
12 Giugno 2024Il lusso del riuso secondo Vestiaire Collective
18 Aprile 2024Iscriviti alla nostra Newsletter!
Sei un sostenitore dell'ambiente in tutte le sue forme? Allora sei nel posto giusto!
Iscriviti subito!