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L’Africa è sempre più coesa nella lotta ai cambiamenti climatici. Uno studio fa luce sul legame tra aumento delle temperature e migrazioni, con conseguenze gravi.
Non solo in Italia si parla di alluvioni e siccità, ma anche e soprattutto in Africa: il continente che, pur essendo responsabile solo del 4% delle emissioni mondiali, paga il prezzo più alto in fatto di conseguenze dei cambiamenti climatici.
Recentemente il Vertice AGNES, a Nairobi, ha riunito i principali attori in fatto di ambiente e climate change per definire le strategie da presentare alla 60a sessione dell’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Tra i temi affrontati, quello della lotta/adattamento ai cambiamenti climatici è stato centrale ed è stata sottolineata l’urgenza di prendere una posizione comune per tutta l’Africa.
Il tema dei cambiamenti climatici in Africa è stato analizzato anche in relazione ai fenomeni migratori di cui essi sono responsabili, in un’interessante analisi, pubblicata sulla rivista Earth’s Future, che ha evidenziato come l’innalzamento delle temperature globali e la conseguente siccità influenzino i flussi migratori, creando problemi di diversa natura.
Il primo dato che salta all’occhio è che almeno
1,6 milioni di africani sono emigrati tra il 2009 e il 2018, a causa della
siccità.
L’incremento della popolazione in zone urbane già sovraffollate porta a problemi sociali ed igienico-sanitari, mentre l’aumento della densità abitativa lungo i fiumi e le coste espone più persone alle conseguenze di alluvioni e inondazioni, anch’esse in aumento e sempre più violente.
I periodi di siccità sono sempre più lunghi e la situazione spaventa se si pensa che, tra il 1970 e il 2019, la siccità ha contribuito al 34% di tutte le morti correlate a disastri naturali, avvenuti, per la maggior parte, nel continente Africano.
Più caldo, più siccità, incremento dei flussi migratori, più persone esposte ai disastri naturali: questo sembra essere il flow-chart evidenziato dallo studio condotto da Serena Ceola dell’Università di Bologna.
Il quadro si fa ancora più preoccupante se si considerano i modelli legati all’aumento delle temperature a livello globale: tutti, infatti, anche i più ottimistici, prevedono un aumento dei periodi di siccità, variabile in base all’incremento delle temperature, la popolazione delle zone aride raddoppiata, entro il 2050, e l’estensione delle aree urbane nelle zone secche in crescita, tra il 300 e il 700%, entro il 2030.
Immagine di copertina: Ian Turnell
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