Ultime Notizie
Denatalità e occupazione femminile in Italia e in Europa. Come sono collegate e cosa hanno a che fare con la parità di genere?
Denatalità, occupazione femminile, diritti delle donne e delle famiglie.
Accostare in un trittico
questi concetti significa non fermarsi alla superficie di un tema che di
superficiale non ha nulla, addentrandosi al contrario a chiedersi perché, in
Italia e in tutta Europa, le culle vuote possono diventare sintomo rilevante di
disparità di genere e mancanza di tutele. Che rapporto c’è tra numero di nascite
e inoccupazione femminile? E cosa hanno a che fare con la gender equality? Una recente
analisi di Randstad aiuta a far luce sulla questione.
Denatalità, i dati in Italia e in Europa
Come confermano i numeri diffusi da Eurostat, è l’intera Europa a essere in sofferenza: nel 2022, l’UE è infatti scesa sotto i 4 milioni di nascite. In tale quadro, l’Italia si colloca in coda insieme a Malta e Spagna, con un tasso di fertilità dell’1,24, contro l’1,79 nascite per donna della Francia, che detiene il primato di natalità.
Nascite e occupazione femminile: come sono collegate?
A partire da tale evidenza, una recente analisi di Randstad mette in relazione il tasso di occupazione femminile con il tasso di fecondità, allo scopo di rilevarne i collegamenti. I risultati ottenuti confermano che, in Paesi del Sud Europa come Italia, Grecia e Spagna, la fecondità media è bassa e l’occupazione femminile è inferiore al 65%.
Una questione di (dis)parità
Nell’attuale inadeguatezza delle misure di tutela da parte delle istituzioni e della maggior parte delle aziende, “tra le soluzioni che le coppie adottano per conciliare lavoro e vita privata sono spesso le donne a farsi carico del lavoro di cura di figli e familiari, rinunciando in parte o totalmente all’impegno lavorativo fuori dalla famiglia”.
>>Leggi anche: Parità di genere leva di sostenibilità
Aumentare l’occupazione femminile tutelando i padri lavoratori: il ruolo delle aziende
In Italia, dal 13 agosto 2022 il padre lavoratore dipendente ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per 10 giorni, dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi, durante i quali ha diritto a un’indennità del 100% della sua retribuzione. Si tratta di una misura introdotta con l’obiettivo di ottenere una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne. Tuttavia, i numeri italiani sono molto esigui, se confrontati con la durata dei congedi riservati ai padri negli altri Paesi europei.La Slovacchia e la Norvegia, ai vertici della classifica che vede il Belpaese nelle ultime posizioni, propongono congedi facoltativi (rispettivamente 28 settimane al 75% della retribuzione la Slovacchia e 15 al 100% la Norvegia). La Spagna offre 16 settimane di congedo obbligatorio, mentre in Francia si ha un congedo obbligatorio di 5 settimane al 91,4% e uno facoltativo di 26 settimane al 13,5%.Oltre al congedo obbligatorio, in Italia i padri possono richiedere un congedo facoltativo, la cui retribuzione, tuttavia, è pari al 30% dello stipendio. Forse proprio per questo motivo, la quota di coloro che usufruiscono della possibilità è piuttosto bassa (3.203 persone nel 2022). In questo panorama generale, il ruolo che possono svolgere le aziende private è sempre più importante, decidendo liberamente di innalzare il numero di giornate concesse, così come la percentuale di retribuzione.
Ancora una volta, per poter parlare realmente i gender equality, occorre partire dai diritti, e dai servizi necessari a tutelarli.
Immagine di copertina: Sandy Millar, Unsplash
Tags:
Potrebbero interessarti ...
Gender Equality, le normative per le aziende secondo l’EIGE
11 Dicembre 2024Il ritorno della misoginia nella politica americana
4 Dicembre 2024Nel Regno Unito si cerca la definizione legale di “donna”
27 Novembre 2024Iscriviti alla nostra Newsletter!
Sei un sostenitore dell'ambiente in tutte le sue forme? Allora sei nel posto giusto!
Iscriviti subito!