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2,4 mila miliardi di dollari l’anno entro il 2030 in Paesi emergenti e in via di sviluppo: queste le risorse da mettere in campo per la transizione energetica.
Un investimento annuale di 2,4 mila miliardi di dollari entro il 2030 nei mercati emergenti e nei Paesi in via di sviluppo per sostenere la transizione energetica e la resilienza climatica. È ciò che servirebbe al mondo per contrastare il climate change fino al 2030, mentre sino ad oggi le risorse stanziate dalle economie più avanzate non hanno superato i 100 miliardi. A sostenerlo è la seconda edizione del rapporto dell’Independent High-Level Expert Group on Climate Finance, citato di recente da Simon Stiell, Segretario esecutivo del Comitato delle Nazioni Unite per i Cambiamenti Climatici (Unfcc), per ricordare che da questa cifra dovrebbero partire i negoziati sulla finanza per il clima alla Cop29 in programma il prossimo novembre a Baku, in Azerbaijan.
Se la Cop28 di Dubai ha segnato un passo avanti con la definizione dell’accordo per l’istituzione del fondo Loss and Damage (uno strumento tra l’altro da molti ritenuto ancora insufficiente per come è stato formulato), è ormai chiaro che a Baku la discussione dovrà necessariamente vertere proprio sull’ammontare delle risorse finanziarie stanziate per il clima. Un tema su cui gli stati però continuano ad avere grandi divergenze. Il sistema finanziario internazionale, ha detto sempre Stell, deve adattarsi agli obiettivi dettati dalla transizione climatica, uno sforzo immane che richiederà soldi in grande abbondanza. “Oggi è evidente che la finanza è il fattore determinante nella lotta mondiale al clima, in termini di quantità, qualità e innovazione. In effetti, senza ulteriori risorse finanziarie, i successi climatici ottenuti sino ad oggi svaniranno rapidamente e diventeranno promesse vuote”.
Il 18 marzo, intanto, i ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione europea si sono riuniti per definire la posizione di Bruxelles in vista del vertice sul clima di Baku. I Ventisette hanno riconosciuto la necessità di disporre di nuove risorse per il clima e di chiedere non solo, come avvenuto senza successo alla Cop28, a quei Paesi che oggi contribuiscono di più all’inquinamento globale-come la Cina, l’Arabia Saudita e il Qatar- ma anche alle aziende del settore petrolifero e del gas, di contribuire ai finanziamenti globali per contrastare la crisi ambientale.
Affinché il mondo possa raggiungere nuovi ambiziosi obiettivi sul fronte delle politiche climatiche, la finanza pubblica, seppur al centro del piano, non potrà dunque più essere sufficiente. “L’UE ritiene che ci sia bisogno di una base più ampia di contribuenti. È necessario identificare e utilizzare fonti di finanziamento nuove e innovative, compreso il settore dei combustibili fossili”. Il Consiglio Europeo invita dunque tutti i partner, di tutte le regioni, in base alle loro capacità finanziarie e compresi quelli che vanno oltre la tradizionale base di fornitori di finanziamenti per lo sviluppo, “ad ampliare il loro sostegno all’adattamento climatico e alle modalità di finanziamento per rispondere alle perdite e ai danni”, anche per il fondo Loss & Damage. Al di là delle prese di posizione dell’Unfcc e dell’Unione Europea, sull’esito della Cop29 pende la tradizionale contrarietà della Cina e dei paesi mediorientali alla stipula di accordi vincolanti, così come l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi, che potrebbero riportare alla Casa Banca quel Donald Trump che nel 2019 aveva ritirato gli Stati Uniti dall'accordo di Parigi sul clima.
Immagine di copertina: Lloyd Alozie, Unsplash
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