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Intervista a Ugo Vallauri, co-fondatore di The Restart Project e parte del movimento Right to Repair Europe.
Diritto alla riparazione. Lo scorso febbraio, Consiglio e Parlamento UE hanno raggiunto un accordo sulla proposta di direttiva da parte della Commissione, che mira a “ridurre gli sprechi e sostenere il settore delle riparazioni, rendendole più accessibili e convenienti”. Come buonsenso richiederebbe, a discapito della distopica- ma dilagante- cultura dell’usa e getta cui si è da tempo abituati: secondo la Commissione europea, lo smaltimento prematuro di beni di consumo sostenibili provoca ogni anno 261 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalenti, erode 30 milioni di tonnellate di risorse, generando 35 milioni di tonnellate di rifiuti. Con perdite economiche commisurate allo spreco, quantificate in circa 12 miliardi di euro.
Il voto confermativo per l’adozione finale del provvedimento è previsto entro il mese di aprile, ma in cosa consiste con precisione e quanto può essere considerato soddisfacente? Cosa può essere migliorato, o ampliato? E cosa si può fare per innescare il cambio di rotta necessario a instaurare- supportandola in ogni settore e fase- una vera e propria cultura del riuso e della riparazione? Ne abbiamo parlato con Ugo Vallauri, co-fondatore e co-direttore di The Restart Project, nonché parte attiva del movimento Right to Repair Europe.
The Restart Project. Chi siete e quali sono i vostri obiettivi?
Cos’è “Right to Repair Europe” e quali sono i punti fondanti della campagna che promuove?
Right to Repair Europe è una coalizione che abbiamo fondato e conta oltre 130 organizzazioni in 23 Paesi europei, che si battono per un diritto universale alla riparazione.Questo vuol dire leggi che:
1) obblighino le case produttrici a progettare tutti i prodotti in modo che sia più facile smontarli e ripararli;
2) facciano sì che riparare abbia costi accessibili, sia attraverso l’accesso a pezzi di ricambio compatibili e usati, che attraverso politiche fiscali che riducano i costi dei servizi di riparazione
3) eliminazione delle barriere software alla riparazione, cioè obbligare le case produttrici a supportare più a lungo i prodotti che mettono sul mercato attraverso aggiornamenti software e di sicurezza, nonché vietare le pratiche di “parts-pairing”, cioè l’uso del software per limitare l’uso di pezzi di ricambio non ufficiali
4) informare i consumatori
sull’effettiva riparabilità dei prodotti al momento dell’acquisto.
Come ha accolto la coalizione la recente intesa tra Consiglio e Parlamento Ue sulla direttiva che promuove la riparazione dei beni?
Per i prodotti in garanzia, la direttiva prevede un’estensione della garanzia di almeno un anno se i consumatori scelgono che il prodotto sia riparato invece che sostituito, anche se questo incentivo da solo potrebbe non essere sufficiente dal nostro punto di vista per evitare che prodotti riparabili diventino rifiuti elettronici anzitempo.
Quali sono i prossimi step a livello legislativo? Quali sono gli ostacoli e i nodi che restano da superare per far sì che il diritto alla riparazione diventi un’opzione reale per i consumatori?
Stiamo contribuendo a processi legislativi paralleli, per principi di riparabilità di altre categorie di prodotti, ad esempio stampanti, aspirapolvere, computer. Questi processi contribuiranno anche ad avere nel medio e lungo periodo etichette di riparabilità per questi prodotti, per aiutare i consumatori a scegliere prodotti più riparabili al momento dell’acquisto. Stiamo anche contribuendo allo sviluppo di linee guida per l’attuazione dal 2027 del nuovo regolamento sulle batterie, che per molti prodotti permetterà ai consumatori di sostituire personalmente le batterie di prodotti che spesso vengono invece riciclati perché attualmente venduti con batterie saldate al prodotto.
Cosa serve ora?
Immagine di copertina: Mark A. Phillips, Unbroken.Solutions
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