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Il reso gratuito, nell’ultimo decennio, è passato dall’essere opzione commerciale a cattiva abitudine. Ma adesso potrebbe ridimensionarsi, anche per l’ambiente.
Si è parlato molto, di recente, della sospensione del servizio di reso gratuito da parte dei marchi e-commerce. Una notizia che è stata accolta con non troppo entusiasmo dai consumatori, ormai abituati a un sistema fondato sul reso. Una possibilità che non è solo stata un’opzione, ma ha inciso in modo radicale sulle modalità di fruizione dell’e-commerce e sugli acquisti online.
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Clicca quiReso gratuito: opzione o vizio?
La clausola del reso interessa e indirizza, in modo particolare, gli acquisti nel campo dell’abbigliamento. Certo, anche per l’acquisto di elettrodomestici, complementi d’arredo, smartphone e libri le regole di reso incidono. Ma, in linea di massima, questi sono prodotti il cui funzionamento e la cui estetica sono già tutelati dalle recensioni di altri utenti. Altrettanto non si può dire per il mercato dell’abbigliamento e degli accessori, per il quale può incidere anche solo una minima variazione di corporatura. Senza considerare il ruolo giocato dal gusto personale e il fatto che, con l’acquisto online di un capo di abbigliamento, è fortemente inibita l’esperienza di acquisto. Tatto e vestibilità non sono valutabili, e anche i colori, che dalle foto online a volte si possono solo intuire, possono trarre in inganno.
“Aggiungi al carrello”
Un dato emblematico, in tal senso, è la distanza media dei centri di smistamento e stoccaggio dai consumatori: circa 480 km. Cifra già significativa, ma che deve essere addirittura moltiplicata nel caso della procedura di reso. Non solo: per i brand che lavorano esclusivamente attraverso canali e-commerce, si calcola che il rapporto di restituzione sia di un acquisto su due. Sempre nello stesso documento si stima che il 25% dei resi potrebbe essere evitato semplicemente fornendo informazioni più chiare al potenziale acquirente. Gli elementi di discrimine sono proprio quelli elencati sopra: colore, fit e taglie (spesso variabili di brand in brand).
Il fenomeno dei “serial returners”
La logistica del capriccio
Un’abitudine che ha sicuramente inciso sui fatturati delle aziende, che si ritrovano, così, a dover rimborsare la spesa corrispondente al reso senza, però, riuscire ad ammortizzare le doppie spese di spedizione.
Ad avvertire gli effetti negativi della “brutta piega” presa dai consumatori indecisi, c’è anche e soprattutto l’ambiente. Eliminare il reso gratuito significa, oggi, arginare la logistica del capriccio che si è andata affermando con il radicarsi di queste cattive abitudini. “Logistica del capriccio” è un’espressione molto efficace, coniata in opposizione a logistica razionale. È quella modalità che “coccola” l’acquirente e la sua voglia di avere il prodotto tra le mani nel più breve tempo possibile. Non solo, tutela proprio chi vuole riservarsi la possibilità di cambiare idea. In poche parole, si definisce così un orientamento al consumo volubile, senza un pensiero che guardi oltre e vada al di là dei propri interessi. La catena è proprio quella, miope, della soddisfazione immediata non di un bisogno, ma di un desiderio.
Oggi sono molti i marchi (anche emblema del fast fashion) che vogliono invertire la rotta. Alla base, potrebbero esserci unicamente delle valutazioni economiche e non ambientali. Eppure, l’orientamento green degli acquisti online, come si è visto, è sempre più un tema attorno cui orientare le politiche aziendali. In qualsiasi caso, è innegabile che, se una clausola di gratuità ha inciso negativamente sull’ambiente, un servizio con maggiori restrizioni potrebbe diventare – in modo collaterale – anche più green. Perché disincentivare quello che è diventato più un vizio che un’opzione commerciale, non potrebbe significare (almeno parzialmente) boicottare le cattive pratiche del fast fashion?
Immagine di copertina: Adrian Sulyok, Unsplash
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