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L’agenzia MSCI fa il punto sull’impatto che tassonomia, SFDR e il MiFID 2 stanno avendo sul mercato degli investimenti finanziari destinati a strategie ESG.
Nel mercato dei fondi di investimento del Vecchio Continente, il secondo più grande al mondo dopo quello degli Stati Uniti, sono quasi 12 i trilioni di euro distribuiti in 30.000 fondi di cui la maggior parte- circa 7 trilioni- destinati a strategie ESG che possono vantare dunque una certa attenzione alla sostenibilità, nel senso più allargato del termine.
Nel report “Funds and the State of European Sustainable Finance”, l’agenzia di rating globale MSCI ha voluto fare il punto sull’impatto che le tre principali norme entrate in vigore per definirne le regole di funzionamento (tassonomia, SFDR e MIFID 2) stanno avendo sul mercato della finanza sostenibile. La tassonomia è il sistema di classificazione delle attività economiche ecosostenibili definito dal’Unione Europea, il SFDR è il regolamento sull’informativa sulla finanza sostenibile, il MiFID 2 la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari.
In uno scenario dove la sostenibilità gioca un ruolo centrale, l’analisi di MSCI mette in evidenza come l’88% dei fondi classificati come articolo 8 (quelli che promuovono, tra le altre loro caratteristiche, quelle ambientali o sociali) e il 63% di quelli articolo 9 (il cui primo obiettivo è l’investimento sostenibile), non ha messo nero su bianco nella relazione sul modello ESG europeo il progetto di raggiungere l’allineamento della tassonomia dell’Unione. Una “svista”, spiega MSCI, legata a una diffusa carenza di informazioni sulla procedura in questione. In Europa il valore degli investimenti dei fondi articolo 8 e 9 supera i 6 trilioni di euro, il 55% del totale (di cui 5,9 trilioni investiti in fondi articolo 8 e 323 miliardi in fondi all’articolo 9).
Stesso discorso per quanto riguarda la divulgazione delle informazioni in merito ai PAI, i Principle Adverse Impact, ovvero quegli indicatori che hanno lo scopo di mettere in luce se e in quale misura le decisioni di investimento prese da una società finanziaria possono avere degli impatti negativi sui fattori di sostenibilità. Secondo quanto stabilito dalle autorità europee, gli intermediari finanziari sono tenuti a rendere conto obbligatoriamente di una parte dei 64 PAI definiti (tra cui ad esempio il livello di emissioni di carbonio, l’esposizione ai combustibili fossili, la misurazione della quantità di rifiuti generata, la diversità di genere o i dati sulla corruzione), mentre sugli altri possono procedere su base volontaria. A livello internazionale, MSCI ha rilevato livelli disomogenei tra società a grande e media capitalizzazione nella divulgazione dei PAI ambientali, ma è in Europa che sono presenti le aziende più virtuose. Oltre la metà dei fondi domiciliati nel Vecchio Continente sta prendendo in considerazione almeno un PAI nella sua strategia di investimento, mentre tra i fondi articolo 8 e 9 la percentuale sale a quasi il 90%.
Secondo la direttiva MiFID 2, entrata in vigore il 2 agosto 2022, i consulenti finanziari devono tenere in considerazione le preferenze di sostenibilità dei propri clienti e sono tenuti dunque a somministrare loro un questionario ad hoc. Sulla base dei dati divulgati dagli asset manager nell’EET, il 47% dei 13.419 fondi europei considerati sta valutando le preferenze di sostenibilità del proprio cliente, mentre la percentuale arriva al 92% tra i fondi articolo 8 e 9 domiciliati nel Vecchio Continente.
Immagine: John Guccione, Pexels
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