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L’eco-ansia affligge molte persone. Uno studio rivela quale sia la strategia di adattamento migliore per affrontare i cambiamenti climatici.
Temperature torride ed eventi metereologici violenti, come grandinate e
temporali improvvisi, incendi e inondazioni, sono sotto gli occhi di tutti e le
notizie tragiche si susseguono con triste frequenza.
Gli effetti psicologici del climate change sono in aumento sin dal 2010 (Hoggett, 2019), ma è già dal 2003 che si inizia a parlare di questa tipologia di percezione individuale: vent’anni fa, infatti, il filosofo australiano Glenn Albrecht ha coniato il termine solastalgia, ovvero un senso di perdita dovuto alla percezione che l’ambiente in cui si vive stia perdendo le caratteristiche che aveva in passato.
Sebbene non sia considerata, ad oggi, come un disturbo d’ansia riconosciuto in letteratura medica, l’ecoansia può arrivare a interferire con il normale svolgimento della vita quotidiana e a richiedere un supporto per la salute mentale.
Tuttavia, esistono azioni personali che possono aiutare a mitigare l’ansia climatica, catalizzando un’importante percezione di autoefficacia che trasforma l’ansia in speranza.
L’obiettivo è quello di riuscire a superare lo stato di immobilità provocato dall’ansia e il senso di impotenza, per mettere in atto comportamenti positivi, a livello individuale e collettivo, volti a contrastare i cambiamenti climatici e ad adottare positive strategie di adattamento.
A sostenerlo è lo studio “Ridurre l’ansia climatica personale è fondamentale per l’adattamento”, pubblicato sulla rivista Nature, che, chiedendosi quale sia il modo migliore per affrontare la crisi climatica a livello individuale, conclude che esso sia rappresentato dall’adozione di strategie personali di adattamento, sia per il bene collettivo, sia per la messa in sicurezza di sé e dei propri cari.
A commento dello studio, su Nature è stata pubblicata una lettera firmata da Colette Mortreux, Jon Barnett, Sergio Jarillo e Katharine H. Greenaway dell'Università di Melbourne. Nel testo si legge: “Basandosi sulle teorie delle scienze cognitive e sull'esperienza clinica, gli autori suggeriscono che la riduzione dell'ansia climatica personale potrebbe favorire l'adattamento. Concordiamo pienamente”.
Gli autori proseguono: “In un ciclo continuo, l'azione di adattamento genera maggiore autoefficacia, che alimenta la speranza e a sua volta consente ulteriori azioni di adattamento. Nella misura in cui questi cicli si perpetuano a livello individuale, dovrebbero estendersi a livello collettivo: più persone sperimentano la speranza, più persone saranno motivate a unirsi a movimenti di gruppo per affrontare il cambiamento climatico a livello sociale".
Dal punto di vista delle azioni personali, lo studio porta qualche esempio: chi teme di essere a rischio alluvioni, ad esempio, potrebbe considerare un piano per spostare il più in alto possibile, nella propria casa, gli oggetti di maggior valore.
Chi teme le conseguenze di una siccità che può portare a una crisi alimentare, può approfondire tecniche di coltivazione di orti urbani e promuovere tale attività. Si tratta dunque di piccoli passi e piccole soluzioni concrete, per uno sforzo che può essere espanso a livello più ampio e collettivo.
Ridurre l’ansia risulta in ogni caso fondamentale per non esserne schiacciati e per poter agire con efficacia, secondo le proprie possibilità.
Immagine: Markus Spiske, Unsplash
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#SustainableTalks: HIND
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