Dalle bottiglie di plastica alle passerelle il passo è breve. O forse no. Ecco gli aspetti meno considerati del PET nell’industria della moda.
Si è spesso parlato di un’economia che preveda la reimmissione nel mercato di tessili e abiti usati e di quanto sia utile sensibilizzare al tema. Un sistema che concili la necessità dei consumatori di acquistare capi nuovi senza gravare sull’ambiente con una filiera produttiva estremamente articolata. Un’intuizione che assume ancora più spessore se si parla di plastica. E il PET, a conti fatti, sembrava potesse rappresentare proprio la soluzione ideale e più virtuosa. Ma è davvero così?
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Il PET è il polietilene tereftalato, resina termoplastica altamente impiegata per la produzione di oggetti di uso comune. Probabilmente, l’oggetto più diffuso che prevede l’impiego di PET sono le bottiglie di plastica. Sulla nocività di questo materiale in ambito alimentare ci si continua a interrogare, soprattutto in merito alla disgregazione e alla dispersione di micro e nanoplastiche. Ma, ad oggi, la mole di bottiglie attualmente in commercio è tale che il loro smaltimento diventa piuttosto problematico. Due anni fa, ad esempio, Greenpeace ha stimato che in Italia sono state immesse al consumo 10 miliardi di bottiglie di plastica per acque minerali. A queste vanno aggiunte le altre bibite commercializzate in plastica, per arrivare a un totale di 13.7 miliardi di litri di bevande confezionate in PET. Una possibile e auspicabile prospettiva è, naturalmente, il processo di riciclo del materiale e la sua successiva reimmissione nel ciclo produttivo. Tuttavia, l’utilizzo del PET nell’industria della moda potrebbe avere dei risvolti non totalmente disinteressati. Le prime intuizioni (e relative commercializzazioni) sul processo di riciclaggio del PET risalgono a trent’anni fa, ma la realtà è molto sfaccettata.
La plastica nella moda: i pro
Le fibre sintetiche – quelle, cioè, derivate dal petrolio – presentano delle caratteristiche versatili e molto utili nel mondo della moda. Si prestano a un gran numero di impieghi, grazie alla capacità impermeabile, di termoregolazione e di traspirazione, ad esempio. Caratteristiche che incontrano la richiesta dei consumatori di avere abiti e tessuti con volumi compatti e capaci di adattarsi alla variazione di temperature.
I contro del PET nel fashion system
Coniugare la ricerca dell’ingegneria tessile con le richieste del mercato, però, potrebbe non essere sufficiente. Il PET presenta dei limiti oggettivi che costituiscono un imponente ostacolo all’utilizzo massivo di questo materiale nell’industria della moda. Innanzitutto, la catena che si mette in moto riciclando le bottiglie di plastica è il downcycling, quello, cioè, che prevede l’ottenimento di un materiale di qualità inferiore rispetto a quello di partenza. Il report Synthetic anonymous – Fashion brands’ addiction to fossil fuel del 2021 mette in luce degli aspetti controversi del riutilizzo di PET. Ad esempio, i processi meccanici di riciclo stressano le fibre, che perdono parte delle loro caratteristiche e della loro forza. Sottoporre il PET a questo iter per un nuovo ciclo di prodotto significa realizzare capi “deboli”, le cui caratteristiche non possono essere mantenute nel tempo. Dunque, non solo il PET non potrebbe essere sottoposto a riciclo infinito, ma i prodotti derivati rischierebbero di avere un ciclo vitale più breve.
Dunque non è un caso, purtroppo, che riciclare le bottiglie di plastica faccia parte, sempre più spesso, di strategie comunicative parziali e di greenwashing. E allora perché non iniziare a consumare meno bottiglie di plastica, prima di acquistare un capo realizzato a partire dal PET?
Immagine: Nick Fewings, Unsplash
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