#SustainableTalks: Yamamay
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#SustainableTalks: Yamamay

Foto di Courtney Smith su Unsplash

 

Per i #SustainableTalks di oggi abbiamo intervistato Ida Schillaci, Head of Environment Sustainability & ESG Reporting di Yamamay.

Come la vostra azienda ha integrato nella sua strategia un percorso di sostenibilità e che tipo di pratiche ha intrapreso per creare un ecosistema virtuoso?

La strategia di sostenibilità è già presente da parecchi anni e stiamo per pubblicare il quarto bilancio di sostenibilità. Dal punto di vista della governance, la sostenibilità è molto presidiata. Le tematiche di sostenibilità sono gestite direttamente dalla proprietà e, all’interno di Yamamay, è presente un ufficio dedicato ed è stato istituito anche il comitato “Rendicontazione e compliance” con il compito di valutare sia lo stato d’avanzamento dell’implementazione di tematiche e delle modifiche dal punto di vista normativo sia lo stato di avanzamento della rendicontazione ESG. La strategia si basa su tre pilastri, ovvero il prodotto, le persone e il pianeta e il piano industriale è allineato alla strategia di sostenibilità. Per migliorare la comunicazione interna, periodicamente vengono svolte attività di sensibilizzazione su vari temi con i dipendenti. All’interno di ogni divisione sono stati nominati degli ambassador, che hanno il compito di raccogliere le informazioni, dare suggerimenti e portare avanti progetti.


Quali sono state le criticità maggiori?

Le maggiori criticità sul tema sostenibilità sono legate ad un prodotto tessile, alla filiera e alle nuove normative. Ad esempio, l’ingresso del digital product passport imporrà a tutti i produttori di tracciare tutte le informazioni dei capi dall’origine fino al fine vita. Inoltre, la normativa sulla responsabilità estesa del produttore impone per chi produce di essere responsabile del fine vita del prodotto. Le difficoltà principali sono legate alla possibilità effettiva di riciclare i prodotti tessili. In questo momento la maggior parte di prodotti del comparto tessile viene avviato ad incenerimento con recupero energetico. Stiamo facendo dei test per cercare di recuperare la materia almeno come materia prima seconda, per la produzione di pannelli fonoassorbenti, mensole, riempimenti per cuscini da reintrodurre all’interno dei negozi. Attualmente è disponibile nei nostri negozi una linea di costumi EDIT (Eco Designed Innovative Textile) prodotto interamente con materiale riciclato delle bottiglie in PET. Il fatto di essere mono-componente, sia nella parte morbida che nella parte rigida, permette potenzialmente di essere recuperato all’interno di una filiera di riciclo industriale. Molte sono le linee con filato riciclato, anche la nostra linea di costumi Essential è prodotta con almeno l’80% di filati riciclati.


Come, il tema della sostenibilità, è stato integrato nella vostra comunicazione interna ed esterna?

 

All’interno tramite una sezione intranet del sito, ma anche periodicamente attraverso incontri. Tutti i colleghi hanno consapevolezza dei progetti portati avanti. È complicato comunicare al cliente, perché in questo momento il cliente riesce a vedere solo ciò che percepisce. Vengo dal mondo del food dove il cliente ha un interesse estremo sul tema dell’imballaggio perché interessato a capire dove buttarlo. Poco interessato invece alle filiere degli alimenti, sia sull’agricoltura sostenibile e sul benessere animale, sulle tematiche sullo sfruttamento dei lavoratori, sul tema del caporalato e sui diritti umani. All’interno della grande distribuzione il tema è la troppa plastica. Senza considerare che l’imballaggio ha un obiettivo specifico, ovvero proteggere l’alimento e aumentarne la vita utile. Nel mondo del tessile è ancora più complicato perché probabilmente non ancora ben raccontato. Quindi anche gli sforzi fatti sul tema dei filati riciclati, non sono compresi dal consumatore finale. perché c’è l’idea che possa essere un problema igienico utilizzare materiali riciclati se si tratta di un capo a contatto con la pelle. Penso anche che il cliente non sia pronto: voler cambiare abbigliamento ogni stagione per poter essere alla moda porta inevitabilmente ad una produzione di capi che non sempre rispondono alla reale necessità con inevitabile invenduto da gestire. Chi produce tessile dovrebbe iniziare a creare collezioni continuative, perché non ha senso cambiare ogni sei mesi l’intera collezione come avviene nel mondo dell’intimo.

  

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Ida Schillaci ha scelto ingegneria ambientale per capire i processi e i fenomeni naturali ed il modo razionale di monitorarli e gestirli, ma ha capito anche che l’ambiente senza la parte sociale e di governance non può bastare. Per questo motivo ha sviluppato una tesi su quelli che erano gli obiettivi del millennio per sviluppare una certificazione ambientale e sociale in una PA. Nella sua vita professionale si è sempre occupata di certificazioni ambientali, così come di gestione, coordinamento e pianificazione degli audit nell’ambito della qualità, ambiente e salute e sicurezza dei lavoratori. A partire dal 2018 si è occupata direttamente di tematiche di sostenibilità diventando Head of CSR Office del Gruppo Esselunga. Oggi, all’interno di Yamamay da dicembre 2022, ricopre la carica di Sustainability Manager certificata e monitora i processi aziendali e produttivi per minimizzare gli impatti ambientali e sociali dei vari processi ma soprattutto continua ininterrottamente a studiare anche per supportare nuovi modelli di sviluppo. Dal 2023 è inoltre membro del consiglio direttivo di Sustainability Makers.

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