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Immagine: Francois Le Nguyen, Unsplash
Tra responsabilità estesa del produttore (EPR) e modalità di conferimento da parte del singolo, ecco farsi strada delle possibili soluzioni proposte dal Mase per concepire e gestire in modo più eco-compatibile lo smaltimento di abiti e accessori.
Il fine vita di abbigliamento e accessori sta per cambiare. Sono in arrivo nuove disposizioni per trattare i tessili per la persona e la casa dismessi. Al momento si tratta solo di una bozza, quella avanzata dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di concerto con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy. Il decreto sui rifiuti tessili vedrà la luce in conformità alla “Strategia nazionale per l’economia circolare” e proporrà un nuovo decorso per i prodotti tessili e di pelletteria. Abiti e accessori di utilizzo personale e per la casa sono prodotti che richiedono un processo di smaltimento molto articolato. E cambiarne la prospettiva del fine vita significa sradicare alcune cattive abitudini ancora oggi troppo comuni.
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Clicca quiCosa cambia il decreto sui rifiuti tessili
È necessario specificare che quello presentato a febbraio è uno schema di decreto e, dunque, passibile di cambiamenti. Quanto proposto fotografa la situazione attuale e prova a dare delle risposte all’interpello in materia ambientale sull’applicabilità dell’articolo 185-bis del D.Lgs. 152/2006 sui rifiuti tessili. La bozza comprende nuove misure da applicare al concetto di EPR e l’istituzione di un sistema multiconsortile per il conferimento o la raccolta dei rifiuti.
In cosa consiste l’EPR
L’acronimo sta per Extended Producer Responsibility. In altre parole, designa il complesso di operazioni di cui deve farsi carico un produttore nella gestione del fine vita del prodotto. L’EPR definisce i doveri in un’ottica di maggiore sostenibilità, sia nello smaltimento dei rifiuti tessili, che nella riduzione dell’immissione di rifiuti stessi. EPR equivale a definire un nuovo ciclo di produzione e fruizione articolato su tempi più lunghi e fasi più stabili, che prevedano anche il possibile reintegro del tessile nel ciclo. Ancor prima della fase di smaltimento, infatti, si demanda al produttore la responsabilità di commercializzare capi orientati a un’idea di circolarità. E cioè prodotti durevoli e di buona fattura, che si prestano a essere riparati e contenenti una percentuale di materiali riciclati. Rientra tra gli obblighi del produttore l’istituzione di una rete di raccolta dei rifiuti tessili in accordo con gli enti del settore, ad esempio. Nonché un sistema di gestione efficiente che “dovrà favorire l’innovazione orientata verso modelli di economia circolare”, si legge nel comunicato del Mase.
Una struttura consortile
A questo fine, la bozza di decreto pubblicata prevede l’aggregazione dei produttori in sistemi multiconsortili che devono poi essere “sottoposti alla vigilanza e al controllo del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica”. Come già accade per gli pneumatici o iRAEE (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), infatti, si profila uniter analogo anche per gli scarti tessili. Ad oggi, capi e accessori dismessi rappresentano un problema non indifferente, fino a raggiungere le drammatiche proporzioni dei Paesi africani. I Paesi UE avranno tempo fino al 2025 per adeguarsi ai nuovi standard e provvedere a un processo di riciclo codificato. Il raggiungimento degli obiettivi sarà garantito attraverso le azioni di raccolta e smistamento che saranno presiedute dal Corit, Centro di Coordinamento per il Riciclo dei Tessili. Al Corit prenderanno parte sistemi di gestione collettivi e individuali riconosciuti dal Mase. E il dicastero presieduto dal ministro Pichetto è attivo nel coinvolgimento degli attori del settore, come associazioni, operatori, oltre all’ISS e l’ISPRA. Una mossa che fa ben sperare, soprattutto nell’individuazione di una comune sensibilità e una soluzione corale in grado di conciliare interessi ambientali e industria.
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