BioEarth, dal terriccio il progetto tessile che trasforma la natura in moda
Sostenibilità

BioEarth, dal terriccio il progetto tessile che trasforma la natura in moda

Immagine: Nikola Jovanovic, Unsplash

Arriva dalla Columbia University la formula innovativa di un tessuto “non-woven” realizzato con la terra che potrebbe ridurre l’impatto della moda sull’ambiente e, insieme, sensibilizzare sul ciclo di vita dei capi di abbigliamento.

Un team di ricerca della Columbia University ha reso nota un’invenzione che porta il nome di BioEarth e mette in stretto contatto il mondo della moda con l’ambiente. Il tessuto rivoluzionario è stato realizzato a partire dal terriccio dal Natural Materials Lab dell’università statunitense grazie al lavoro sinergico della ricercatrice Penmai Chongtoua e della professoressa Lola Ben-Alon.

 

L’origine del materiale

La sua consistenza lo rende molto simile, a livello sia visivo che tattile, alla pelle. Il materiale presenta particolari resistenza e compattezza, soprattutto se si considera l’elemento di provenienza. Un’invenzione del genere non solo apre scenari commerciali e ambientali interessanti, ma sviscera anche un nuovo e auspicabile rapporto con le risorse primarie.

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La ricerca

Contrariamente a molti tessuti di origine naturale che trovano la loro destinazione d’uso negli arredi, ad esempio, il team dell’università della Columbia ha concepito il materiale proprio per essere lavorato, cucito e indossato. Certo, i primi esperimenti condotti nell’ambito del progetto Earthen Mud Skins avevano prodotto un tessuto molto più rigido e che difficilmente riusciva ad adattarsi al corpo. Tuttavia, dal quel prototipo dal considerevole impatto artistico, si è passati a un materiale con caratteristiche più convenzionali.

 

Le proprietà di BioEarth

BioEarth, infatti, presenta una morbidezza tale da vestire bene il corpo e, contestualmente, sufficiente resistenza per essere tagliato al laser o cucito. Nella sua ultima formulazione, il tessuto progettato dalla Columbia University è composto al 60% da terra: una percentuale ragguardevole, che rappresenta anche una sfida scientifico-tecnologica vinta. A cui sarebbe auspicabile si aggiungesse anche quella ambientale.

 

Le nuove prospettive tessili

Un miglioramento dovuto principalmente all’introduzione delle bioplastiche, come elementi aggiuntivi ai quali mescolare il terriccio. Sostanze ottenute a partire da amido di mais, alginato estratto da alcuni tipi di alga e cellulosa la cui azione combinata ha reso BioEarth un tessuto molto più versatile. L’obiettivo è far sì che un’invenzione del genere possa diffondersi così rapidamente e capillarmente da sostituire quei tessuti le cui lavorazioni gravano pesantemente sull’ambiente. Ciò che accomuna i primi esperimenti e il più recente materiale è essere entrambi a bassissimo impatto di CO2, non tossici e sottoposti a un processo di trasformazione essenziale. A questo si aggiunge la connessione che – a detta delle curatrici del progetto – questi tessuti rappresentano tra uomo e natura.

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BioEarth allunga il già nutrito elenco di tessuti non filati, prodotti a partire dai processi chimici a cui viene sottoposta la materia prima. Inoltre, anche il processo di smaltimento potrebbe essere molto meno invasivo rispetto ai tessuti attualmente commercializzati. La sua natura biodegradabile potrebbe agevolare non di poco, come nel caso dei tessuti ottenuti dagli scarti di frutta e verdura [LINK NONSOLOAMBIENTE], i processi di smaltimento.

 

Le molte facce del progetto BioEarth

Quella del team della Columbia University si profila sia come una ricerca di fondamentale importanza sul piano scientifico ed ecologico, mirando a sensibilizzare sulla tematica ambientale in rapporto alla moda.

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