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Immagine: Melody Ayres-Griffiths, Unsplash
Come bucce di agrumi, gusci di frutta secca e scarti di lavorazione dell’uva potranno rivoluzionare il mondo della produzione tessile e alleggerire l’ambiente. I nuovi progetti e le aziende che orientano il loro business alla produzione di tessuti, riducendo i rifiuti.
Forse non si può trasformare una zucca in una carrozza, ma gli scarti alimentari in abiti sì. E così, i residui di frutta e verdura, relegati alla raccolta differenziata, da Cenerentola della cucina si prendono la loro rivincita. Si moltiplicano, negli ultimi tempi, gli esempi in cui sartorialità e scienza si intersecano. Con un duplice obiettivo: da una parte, il reintegro dei rifiuti nel sistema produttivo. Dall’altro, la prospettiva di una moda che non continui a gravare sull’ambiente con i volumi, le emissioni (e non di rado) la pericolosità di oggi.
Come funziona il processo
Le tecnologie alla base del processo di produzione dei tessuti a partire dagli scarti alimentari sono vari. Per l’utilizzo delle bucce, ad esempio, si parte dalla fermentazione e dall’essiccazione della materia prima. La stessa, viene poi sottoposta a un processo di polimerizzazione o anche polverizzata e mescolata ad altri materiali. E così semi e relativi oli, gusci e gambi vegetali, attraverso specifici trattamenti, subiscono una trasformazione bio-chimica che ne prolunga la vita e l’utilizzo.
I progetti pionieristici
Si tratta di una nicchia di mercato che riesce a conciliare le tematiche ambientali con le esigenze della moda. E non è un caso, infatti, che luxury brand e noti marchi di abbigliamento abbiano intercettato la tendenza e manifestato entusiasmo. Ci sono delle realtà che, però, hanno fatto proprio della ricerca scientifica il proprio core business.
Si fanno strada dei progetti che, anche grazie al supporto dell’Unione Europea, mirano a produrre bioplastiche dalla lavorazione degli scarti alimentari. Bucce di agrumi e gusci di frutta secca, in particolare, stanno diventando la base per orizzonti interessanti dalle molteplici applicazioni. I residui alimentari trattati e lavorati attraverso le tecnologie 3D si prestano anche a utilizzi tessili sempre più eco-compatibili, grazie alla riduzione delle emissioni di CO2.
La lista delle aziende orientate alla produzione di tessuti a partire dagli scarti alimentari continua ad allungarsi. Leggere l’elenco delle materie prime utilizzate può far sorridere o sgranare gli occhi. In effetti, non è così immediato pensare all’ananas, all’arancia o al latte come base per i vestiti che si indossano. Ma gli sforzi dell’ingegneria tessile tesi alla riduzione dell’impatto sono tanto encomiabili e notevoli, quanto più percorrono strade inaspettate. Si era già parlato delle pelli vegane e cruelty-free, che aggiungono ai vantaggi diretti per l’ambiente e alla riduzione degli sprechi anche quello di non arrecare sofferenze agli animali.
Ciascuno di questi prodotti trova la sua collocazione ideale in un particolare ambito. Ci sono i filati particolarmente resistenti e waterproof, utilizzati per capi sportivi. Così come ci sono quelli più versatili e che si prestano a soddisfare i vezzi del fashion system risultando ideali per abbigliamento e accessori. Ma ci sono anche le fibre particolarmente indicate per i tessili della casa, con le quali realizzare tappeti, tende e imbottiture.
Il follow-up
La produzione di tessili nati dall’incontro tra tecnologie digitali e sensibilità ambientale apre ad altro tipo di prospettive. Una considerazione a margine viene pensando all’incidenza del mondo della moda sull’inquinamento globale. Tecnologie ed esperimenti di questo genere, uniti alla consapevolezza ambientale, agiscono su un duplice piano. La riduzione diretta dell’utilizzo di materiali dal forte impatto ambientale utilizzati dal fast fashion per indumenti, imballaggi e packaging, certo. Ma non solo: c’è anche l’impiego benefico di scarti che andrebbero, così, non solo sottratti alla spazzatura, ma addirittura re-immessi nel ciclo produttivo. Senza considerare che lo smaltimento di questi capi sarebbe molto più soft, trattandosi in molti casi di fibre completamente (o quasi) biodegradabili. E potrebbe aprire ad altri scenari, come l’azione sinergica di agricoltura e industria manifatturiera, ad esempio. Se un sistema del genere dovesse prendere piede, si potrebbero stipulare accordi per destinare alla produzione tessile tutta quella merce non idonea alla vendita.
La riduzione dei rifiuti
L’adozione di questi sistemi e l’orientamento verso filati di origine alimentare allevierebbe di molto l’impatto dei rifiuti. In primis, quelli alimentari, trovando una collocazione per merce non vendibile o scarti comunque non edibili, come gusci e bucce. Dall’altro, sarebbe significativa anche la riduzione dei rifiuti tessili che oggi rappresentano un problema decisamente annoso.
La trasformazione degli scarti alimentari è, dunque, un terreno di grande interesse e dalle molteplici applicazioni. Forse può stupire pensare all’incontro tra gli sfavillii della moda con il recupero del food waste. Eppure, la preziosità e la vestibilità di alcuni tessuti non diminuisce, nonostante la loro provenienza. Anzi, è proprio la consapevolezza che li accompagna ad accrescerne il valore.
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