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Immagine: Austin Distel, Unsplash
La mancanza di conoscenze diffuse sulle tematiche legate agli investimenti alternativi frena lo sviluppo del settore in Italia. Il punto in un convengo della Consob.
La maggioranza degli investitori italiani è pronta a valutare nei prossimi due anni un riorientamento del proprio portafoglio titoli in favore dei prodotti sostenibili, ma è in parte frenata dal timore di incorrere nel rischio di sostenere progetti macchiati dal greenwashing. Anche perché spesso non dispone di una formazione e una conoscenza adeguate per muoversi nel mercato con la giusta consapevolezza. E’ quanto mette in luce l’ultimo rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane.
Nel 2022 il 63% degli investitori del campione era interessato a considerare prodotti finanziari sostenibili, si legge nello studio basato sulle interviste a 1.436 individui rappresentativi della popolazione dei decisori finanziari italiani. Solo l’11%, però, dichiarava di aver concretizzato l’investimento, percentuale che sale al 17% nel caso di chi è assistito da un professionista, si tratti di un consulente o un gestore. Un dato, quest’ultimo, che spiega perché l’Unione europea ha deciso di puntare sull’integrazione della sostenibilità nella consulenza nel piano d'azione per finanziare la crescita sostenibile.
Alfabetizzazione finanziaria, ora è necessario correre
«La mancanza di una conoscenza adeguata del comparto rappresenta uno dei principali fattori deterrenti rispetto alla scelta o meno di prodotti della finanza green, così come la percezione di rischi più elevati a fronte di performance finanziarie più ridotte, la carenza di informazioni chiare e il timore di greenwashing», ha detto Chiara Mosca, commissario Consob, intervenendo al convegno “Investimenti sostenibili. Conoscenze, attitudini e scelte degli investitori italiani”. Il 34% degli intervistati apprezzerebbe in particolare informazioni sulla sostenibilità sintetiche, chiare e comprensibili, il 28% preferirebbe avvalersi di indicatori sintetici come rating o score ESG, il 23% di certificazioni di sostenibilità e, infine, il 22% dei casi di informazioni di confronto con riguardo ai profili di rischio e di rendimento di alternative di investimento non connotate da caratteristiche di sostenibilità.
Dallo studio emerge che la conoscenza delle nozioni di base della finanza sostenibile è ancora molto poco diffusa. «Solo il 6% degli intervistati ha risposto correttamente sul significato di greenwashing, investimenti sostenibili, green bond e fattori ESG, mentre il 60% degli intervistati non sa o si rifiuta di rispondere».
L’Italia si trova dunque ancora ad affrontare un problema di basso livello di alfabetizzazione finanziaria, come ha messo in luce il rapporto Ocse/Infe 2020, che vede il Bel Paese in ultima posizione tra le 26 nazioni esaminate, un problema ancora più complesso per quanta riguarda «gli investimenti sostenibili, per i quali la sfida verso l’armonizzazione del linguaggio, per ottenere coerenza delle definizioni e chiarezza e comparabilità delle stesse, è ancora in corso».
Il greenwashing, dunque, termine con cui si vuole indicare quel fenomeno basato su informazioni fuorvianti sulle effettive caratteristiche di sostenibilità dei prodotti, è tra i timori e i rischi percepiti maggiormente dagli investitori. «Contrastarlo dunque è una priorità globale. Può forse dirsi, con un po’ di ottimismo che, a fronte di un quadro della finanza sostenibile articolato e ancora in costruzione, sia condivisa tra gli operatori del sistema la consapevolezza di quanto i rischi di greenwashing possano minare la fiducia degli investitori ancor prima che il mercato degli investimenti sostenibili possa pienamente e ordinatamente svilupparsi».
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