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Come possono gli istituti finanziari affrontare al meglio la transizione verso un’economia e una finanza sempre più sostenibili? Il punto di vista di Banca d’Italia, Politecnico di Milano e Morningstar.
Il ricorso a dati di qualità per una corretta valutazione dei rischi Esg. Mantenere il focus sulle attività e non sui settori per la valutazione degli impatti ambientali. L’importanza della formazione per permettere a banche e imprese, in particolare modo quelle di piccola e media dimensione, di governare al meglio la transizione verso la nuova economia sostenibile. Sono questi alcuni degli spunti emersi nel corso del webinar “Come integrare i rischi ESG negli stress test bancari”, organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con Morningstar.
I rischi legati alle questioni ambientali, sociali e di governance stanno diventando sempre più rilevanti per le istituzioni finanziarie, chiamate oggi ad operare in uno scenario dove la domanda degli investitori per prodotti sostenibili è in costante aumento così come la pressione da parte degli organismi di regolamentazione. Le banche sono tenute a considerare i criteri ESG nel loro quadro di risk management e a farsi carico di rafforzare i sistemi di valutazione del rischio climatico, nell’ottica di favorire il percorso di transizione ecologica.
L’incontro, moderato da Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile, ha visto la partecipazione di Bruno Mastroianni, Titolare della Divisione Bilanci e Segnalazioni del Servizio Regolamentazione e Analisi Microprudenziale del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia; Jonathan Taglialatela, Assistant Professor in Sustainable Finance, Politecnico di Milano; e Camilla Bossi, Associate Director, Client Relations, Morningstar Sustainalytics.
«Uno degli aspetti più critici di cui devono tener conto oggi gli istituti finanziari nella relazione con la controparte, ovvero con i soggetti oggetti di finanziamento, è la qualità dei dati di cui dispongono per valutarne l’aderenza o meno agli aspetti Esg», ha detto Bruno Mastroianni di Banca d’Italia. Per questa ragione è importante mantenere «sempre vivo il dialogo con il comparto non finanziario, in particolare modo con le imprese di piccola o media dimensione, quelle meno strutturate per affrontare l’evoluzione verso un quadro di regolamentazione sempre più vincolato ai criteri Esg». Lo stesso vale per le banche, alla luce della decisone di estendere gli obblighi di Terzo Pilastro in materia ESG a tutti gli intermediari, inclusi dunque anche gli istituti finanziari di dimensioni più piccole.
Camilla Bossi di Morningstar ha quindi sottolineato come le banche «dovrebbero oggi innanzitutto acquisire conoscenza della complessità dei dati legati alla transizione climatica e ai rischi di tipo fisico. La valutazione della qualità delle informazioni raccolte è imprescindibile e dunque disporre di parametri coerenti nella loro curva di apprendimento è fondamentale. I dati sulle emissioni che producono tante aziende, e che in futuro saranno verificati da parte terzi, ad oggi mostrano ad esempio ancora tante lacune». In questo quadro la formazione rappresenta una leva strategica fondamentale per gli istituti finanziari e per le imprese, «in particolar modo per le realtà di piccole o media dimensione, l’ossatura del sistema economico italiano. I dati esistono, la formazione ci aiuta a saperli leggere e utilizzare al meglio». Oggi la road map della tassonomia è stata già delineata, anche se anticipare le future regolamentazioni non è di certo sempre possibile. «Nonostante questo, il nostro invito è comunque acquisire subito maggiore familiarità con una gestione corretta di questi dati, in modo da farsi trovare pronti».
Jonathan Taglialatela del Politecnico di Milano ha quindi messo in luce come ad oggi la disclosure climatica per le banche europee risulti per quasi la metà degli istituti ancora insufficiente, sia dal punto di vista dei contenuti sia della trasparenza. «Il focus rimane in primis il rischio di credito, mentre sono ancora pochi gli istituti che integrano le potenziali conseguenze del climate change nelle loro decisioni strategiche».
E non è tutto, perché ad oggi non esistono ancora metodologie standardizzate per la valutazione dei rischi legati alla perdita di biodiversità, «un tema non secondario dal momento che la metà del Pil mondiale, pari a circa 44 trilioni di dollari, è generato dai settori che dipendono dal capitale naturale». Tenendo conto anche di questo aspetto, «è importante oggi per istituti integrare dati da prospettive diverse e utilizzare più metodologie di misurazione, in modo da valutare se il quadro è il più aderente possibile agli obiettivi di Parigi 2015».
Mastroianni ha quindi ricordato come «la classificazione della tassonomia si basa sulle attività e non sui settori. Le banche, dunque, non si devono fermare ad una prima analisi legata al settore di apparenza di una determinata impresa, ma valutarne l’impatto ambientale alla luce delle attività effettivamente svolte». È questo un approccio che garantisce un ulteriore miglioramento della capacità di valutazione, un modus operandi, ha concluso Camilla Bossi, «che già stato fatto proprio anche da Morningstar nella messa a punto delle sue metodologie di ricerca».
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