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Immagine: Lily Miller, Unsplash
Individuare il nuovo destino per la fibra tessile più diffusa al mondo è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030, che si impegna a focalizzarsi su uno sfruttamento delle risorse più rispettoso, insieme a un consumo più consapevole.
Quando si parla di sostenibilità nella moda, probabilmente viene spontaneo pensare a derivati del petrolio o a filiere molto lunghe e inquinanti. Forse non è immediata l’associazione con filati come il cotone. Una fibra tessile così presente tanto nella moda, quanto nell’immaginario collettivo, da meritare una giornata mondiale dedicata. Iconico, certo, ma anche molto impattante sul piano della sostenibilità. E si impone oggi un nuovo orizzonte per svincolare il cotone da quello sfruttamento delle risorse, sia umane che del terreno, poco controllato, a cui si storicamente è accompagnato.
Cotone e sfruttamento
Stando a un report delle Nazioni Unite, la coltivazione del cotone è una fonte di reddito per 32 milioni di persone, la maggior parte rappresentata da donne. Il 90% degli appezzamenti, poi, è localizzato in Paesi poverissimi. Un dato che incide pesantemente sull’impiego di manodopera sfruttata, sottopagata e mai adeguatamente tutelata, non di rado composta da minorenni. Ma non solo: la coltivazione del cotone richiede ingenti quantità di acqua che, in molti casi, vengono sottratte a zone già poverissime di risorse idriche.
Il futuro del cotone, una strategia entro il 2030
E parlare, oggi, del futuro del cotone è una necessità che diventa sempre più presente nei dibattiti in materia di agricoltura, commercio e moda. Lo dimostra Better cotton, l’iniziativa che, a livello mondiale, si pone l’obiettivo di elaborare una strategia entro il 2030. Per abbattere l’utilizzo di pesticidi chimici, ad esempio, responsabili di danni causati all’ambiente e alla salute delle persone. Tra le sostanze di più comune utilizzo – si legge nel report della Ellen MacArthur Foundation – ci sono azoto e fosforo, capaci di intaccare le falde acquifere, colpendo flora e fauna.
Cotone sostenibile: produzione e certificazione
La World Trade Organization sottolinea come il cotone, occupando il 2.1% dei terreni coltivabili nel mondo, copra il 27% del fabbisogno tessile. Un altro vantaggio è quello della versatilità della pianta, il cui 35% è destinato alla produzione di fibra tessile, ma gli scarti possono essere impiegati come fertilizzante agricolo e mangime per animali. Altre percentuali minori, ma affatto trascurabili, rivelano l’utilità del cotone anche in ambito cosmetico, alimentare – con la produzione di olio – e degli imballaggi.
Tutti aspetti indagati durante il webinar Sustainable cotton production and certification organizzato in concomitanza con la Milano Fashion Week dalla ong World Sustainability Organization e tenuto dal brand Natural Cotton Color. L’incontro, il cui obiettivo era proprio individuare possibili scenari futuri, ha evidenziato dati positivi, come la presa di coscienza, da parte dei consumatori nella fascia di 18-34 anni, sulla dannosità e, conseguentemente, la riduzione degli acquisti e il bisogno di dare il proprio contributo. L’intensificazione di certificazioni ed enti preposti al controllo della qualità e della sostenibilità delle fibre tessili, poi, gioca certamente un ruolo rilevante.
Gli standard qualitativi
La stessa ong ha sviluppato due standard qualitativi, Friend of the Earth e Friend of the Sea, che attestano la sostenibilità ambientale di prodotti e servizi rispettivamente legati all’agricoltura e al mondo marino. E aver scelto per il webinar il periodo del grande evento di moda e Made in Italy è emblematico per rimarcare la possibilità di guardare oltre, a una dimensione in cui la produttività non può essere scissa dalle tutele per i lavoratori e l’ambiente.
Obiettivo: circolarità della coltura
Guardare al futuro del cotone significa intervenire sulle modalità di coltura, riducendo drasticamente i consumi di acqua e impostando un ciclo di raccolta e trasformazione basato su un modello meno impattante. Una soluzione potrebbe partire proprio dalla “circolarità” della coltura, oltre che del modello di business. Un principio che si basa sullo sfruttamento a rotazione del terreno, per garantire un’alternanza periodica e permettere il ripristino delle sostanze che lo rendono fertile.
Ci si trova, quindi al bivio, in cui inforcare la strada del cambiamento è necessario per ridisegnare il profilo di una coltivazione che, altrimenti, sarebbe da considerare non più sostenibile. Perché maggiore consapevolezza in tutte le fasi di coltivazione, trasformazione e distribuzione significa vantaggi diretti per produttori, lavoratori, esportatori, case di moda e acquirenti al dettaglio. Con un obiettivo comune: preservare le risorse, nella duplice accezione, da una parte, di uno sfruttamento oculato e, dall’altra, di uno sforzo orientato al ripristino degli equilibri naturali.
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