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Immagine: Naja Bertolt Jensen su Unsplash
Una ricerca della Facoltà di ingegneria dell’Università di Toronto ha portato all’attenzione una soluzione che potrebbe contenere l’inquinamento causato dalla dispersione delle sostanze tossiche presenti nelle fibre sintetiche.
Le microplastiche tessili rappresentano una minaccia per l’ambiente e la salute dell’uomo, ma sembrano esserci buone notizie sul fronte delle innovazioni tecnologiche capaci di attenuare i danni di queste sostanze tossiche.
Una grande scoperta per tutelare gli oceani (e la salute)
Le misure eccessivamente ridotte di componenti plastiche presenti nelle fibre sintetiche le rendono impossibili da smaltire in modo adeguato. Non solo: seguendo i cicli di lavaggio attraverso i comuni programmi delle lavatrici, il tasso di dispersione di questi materiali nei corsi d’acqua è altissimo. Si deve all’équipe della Facoltà di ingegneria dell’Università di Toronto guidata dal professor Kevin Golovin la scoperta di un rivestimento capace di contenere la dispersione delle microplastiche da filati sintetici come nylon, rayon, acrilico e poliestere. Gli stessi tessuti responsabili del rilascio della maggiore quantità di microfilamenti tossici.
Come agisce il rivestimento anti-microplastiche?
Golovin, a capo del laboratorio DREAM (acronimo evocativo che sta per Durable Repellent Engineered Advanced Materials) da tempo studia le proprietà delle sostanze repellenti e la loro applicazione dagli utensili quotidiani all’industria aeronautica. Il focus di questi studi sul tessile e sulla moda – evidenziano Golovin e la sua équipe – deriva dalla mancanza di una strategia a monte: qualcosa che riduca la produzione di microplastiche, prima ancora della loro dispersione.
Le contromisure che in questo periodo vengono adottate per ridurre il problema mirano, appunto, a contenere la diffusione delle sostanze attraverso speciali filtri per lavatrici, ad esempio. Si tratta di un’operazione encomiabile che sta interessando governi e organizzazioni a livello mondiale, ma parziale. È, infatti, l’approccio definito band-aid, del “cerotto”, dallo stesso accademico: puntare a una soluzione guardando a un problema in atto, piuttosto che al suo eradicamento.
La ricerca dell’università canadese, al contrario, va in questa direzione: dotare i tessuti di un rivestimento in polidimetilsilossano (PDMS), un polimero organico a base di silicio che agisce sulla viscosità dei materiali. Si tratta di una sostanza non derivata dal petrolio, e dunque ecologica. Il suo impiego attuale è principalmente nell’industria alimentare e nella produzione di prodotti per la cura del corpo, per la sua capacità di evitare la formazione di schiuma nei liquidi imbottigliati o inscatolati.
Una doppia azione: polimero e primer
Il PDSM, dunque, rispondendo alla sua natura polimerica, si dispone in forma di catena e agisce come una barriera. E l’intuizione sta proprio nell’averlo integrato con un’altra tecnica, definita primer molecolare, già utilizzata per far sì che le colorazioni restino adese ai tessuti. Così, sulla falsariga di questo principio, l’utilizzo simultaneo di primer e polimero dimostra che l’azione combinata si rivela efficace nel 90% dei casi. Le prime sperimentazioni sono state condotte sul nylon, sottoposto a 9 cicli di lavaggi per determinare la graduale riduzione della dispersione di microplastiche. Ma il team è già al lavoro su una formulazione capace di aderire anche ai composti di fibre sintetiche e non solo ai tessuti realizzati con un’unica fibra.
Attualmente, l’industria della moda grava in modo consistente sull’ambiente attraverso i suoi processi di produzione, i trattamenti e gli agenti chimici molto invasivi e dannosi. L’applicazione di una tecnologia simile potrebbe essere un consistente passo non solo verso una soluzione, ma verso una presa di coscienza sui danni del consumismo sfrenato.
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