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Immagine: Claudio Schwartz, Unsplash
I due colossi della vendita di abbigliamento e accessori online tra luci e ombre perseguono politiche tra loro molto diverse. Ma è il momento di rallentare un fast fashion ancora troppo “fast”, che rischia di mettere in grave pericolo ambiente e salute dei consumatori.
Il 2023 sarà un anno cruciale nell’adeguamento di Zalando agli standard di circolarità e sostenibilità. Questo, almeno, è quello che si legge in un accurato report redatto dallo stesso brand. L’obiettivo, infatti, pare essere un miglioramento organico del ciclo di vita di almeno 50 milioni di capi, tra abbigliamento e accessori. Un allungamento del periodo di utilizzo che andrebbe di pari passo con un incremento della qualità dei prodotti e l’innalzamento delle soglie etiche. Insistere, quindi, meno su un’idea di fast fashion e più sulla catena del valore e sulle crescenti attenzioni all’ambiente.
Un e-commerce green?
Tuttavia, nonostante quanto si prepone il marchio sia encomiabile, pare non coincidere perfettamente con la realtà dei fatti. L’azienda, infatti, a fine 2022 ha reso pubblici i dati riferiti all’anno precedente relativi alle emissioni di CO2. Ciò che emerge è un innalzamento della quantità di emissioni di cui Zalando è responsabile. Si è passati, infatti, dal 14.71% del 2019 – la percentuale più bassa registrata nell’ultimo quinquennio – a un incremento del 23% del 2021, per un totale di 5.578.964 tonnellate. Numeri che comprendono tanto le emissioni dirette, quanto quelle energetiche e indirette. Consumi che sicuramente provvedono a collocare il brand in una posizione non idilliaca in relazione all’ambiente.
Bisogna riconoscere che gli sforzi del colosso vanno nella direzione della progressiva riduzione dell’utilizzo di plastica in favore di carta e cartone riciclati o dell’impiego di fonti come il biogas. Tuttavia, la produzione di rifiuti globale tra uffici, centri di distribuzione e punti vendita direttamente riconducibili a Zalando è salita dalle 22.114 tonnellate del 2019 alle 25.167 dell’anno successivo. Un dato non indifferente per un’azienda che ha creato un solido storytelling sull’impronta fortemente eco-friendly.
Shein , il lato oscuro anche offline
Chi, invece, non fa delle lotte per la sostenibilità il suo cavallo di battaglia è sicuramente Shein. L’emblema dell’e-commerce cinese che esporta in tutto il mondo, infatti, nel corso del 2021 ha assistito a un incremento delle vendite di oltre 15 punti percentuali. I suoi prodotti, caratterizzati da prezzi estremamente bassi, si accompagnano a una altrettanto bassa qualità. Con ciò che si può facilmente intuire in termini di (mancata) valorizzazione del ciclo di vita del prodotto e di un carbon footprint decisamente pesante. Alla crescita esponenziale del fatturato aziendale, Shein ha accompagnato anche una affermazione del brand nell’offline, con il megastore di Tokyo e numerosissimi altri pop-up store in giro per il mondo.
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