Il Mediterraneo potrebbe contribuire a produrre fino a 17Gw di energia, ma la realizzazione degli impianti viene rallentata dalla burocrazia. Dall’altra parte, la ricerca è ai primi posti in Europa per qualità e risultati.
Con una crisi energetica in atto e davanti alla prospettiva di ulteriori aumenti dei prezzi nel settore delle fonti energetiche fossili, l’implementazione di una politica energetica tendente all’autosufficienza e improntata a criteri di sostenibilità e neutralità climatica è finalmente al centro dell’agenda nazionale. Tuttavia, parlando di sfruttamento delle risorse rinnovabili, è mancato in Italia un adeguato dibattito sulle potenzialità di una risorsa spesso trascurata, tuttavia estremamente diffusa e largamente sottoutilizzata: il mare. Da svariati decenni, infatti, è possibile incanalare i venti marini per produrre energia eolica, con un rendimento delle installazioni “offshore” (ovvero poste in mare aperto) ormai quasi doppio rispetto a impianti di paragonabili dimensioni posti sulla terraferma. Inoltre, nonostante siano ancora in fase di sviluppo, in più Paesi si stanno testando soluzioni in grado di sfruttare il moto ondoso, il movimento delle maree e quello delle correnti marine per la creazione di energia elettrica. Come spesso accade, nel nostro Paese la situazione è fortemente ambivalente: se dal lato delle infrastrutture si nota una grave carenza nello sfruttare la risorsa energetica marina, dal lato della ricerca, pubblica e privata, l’Italia vanta un profilo di primo piano e alcune punte di eccellenza.
Nel corso dello scorso anno è stato stanziato un miliardo di euro, tramite il PNRR, per la creazione di nuovi impianti eolici, e Legambiente stima che accelerando l’iter degli impianti in attesa di autorizzazione potremmo produrre fino a 17 Gigawatt. Eppure, ad oggi, in Italia un solo impianto sfrutta i venti del mare aperto: è quello di Taranto, in Puglia, inaugurato a luglio di quest’anno e in grado di produrre ogni anno 58.200 MegaWattora, ovvero il fabbisogno medio di circa 18.500 famiglie. A causa di numerose vicende burocratiche, la sua realizzazione ha richiesto quattordici anni, un tempo chiaramente incompatibile con le esigenze energetiche del Paese. Tra i progetti di prossima realizzazione, due nuovi parchi eolici marini sono in fase autorizzativa in Emilia-Romagna, nonostante le opposizioni del mondo del turismo locale, e altri due dovrebbero sorgere in Sicilia e in Sardegna grazie a una joint venture tra Eni e Cassa Depositi e Prestiti ma, visti i lunghi iter burocratici, non ci sono certezze sulle tempistiche di messa in opera.
Dal punto di vista della ricerca scientifica, invece, l’Italia è da sempre ai primi posti: in Europa siamo i secondi, dopo il Regno Unito, per i finanziamenti ai progetti di ricerca sula produzione di energia elettrica rinnovabile dalle correnti marine, come emerso dai report di Ocean Set, iniziativa Europea di cui Enea è partner, che punta alla coordinazione della ricerca in ambito energia dal moto ondoso. Da quasi dieci anni ormai i ricercatori del nostro Paese portano avanti progetti all’avanguardia nel settore dell’energia dal movimento delle maree, come l’ambizioso piano di collaborazione pubblico-privato che fornisce energia ad alcune case dell’Elba tramite un mini-generatore sperimentale, o come il , che ha portato alla produzione di energia rinnovabile dalle onde, con l’installazione di un prototipo di generatore direttamente su una piattaforma per l’estrazione del gas nell’Adriatico, all’epoca la prima alimentata ad energie rinnovabili.
Ancora una volta, quindi, il mondo dell’innovazione si scontra con la lentezza di un “sistema Paese” che, nonostante le promesse di commissariamenti e iter accelerati nel settore rinnovabile, rischia di perdere la possibilità di adeguarsi in tempo.
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