Greenpeace ha reso pubblico un report secondo cui i social media non starebbero facendo abbastanza per comunicare il climate change.
I social media rappresentano una grande opportunità per dare voce a cause importanti. Ad oggi, più della metà della popolazione mondiale utilizza i social media (58,4%), ovvero 4,62 miliardi di persone in tutto il mondo ha un profilo social, attivo per un tempo medio giornaliero di 2 ore e 27 minuti. Con questi dati, è ancora più facile capire quanto i social media possano influenzare l’opinione pubblica e fungere da “cassa di risonanza” anche per tematiche come il climate change. A tal proposito, secondo uno degli ultimi report pubblicati da Greenpeace, i social network non si stanno impegnando abbastanza per combattere le fake news sul cambiamento climatico. Il report si chiama “In the Dark: How Social Media Companies’ Climate Disinformation Problem is Hidden from the Public” ed è stato redatto da Friends of the Earth, Avaaz e Greenpeace USA.
Stando a quanto dichiarato nel report, “c'è una grave mancanza di trasparenza, poiché queste società nascondono gran parte dei dati sulla prevalenza della disinformazione/misinformazione sul clima e su eventuali misure interne adottate per affrontarne la diffusione. Pinterest e YouTube hanno adottato misure notevoli per affrontare la disinformazione sul clima, mentre Facebook, TikTok e Twitter sono rimasti indietro nei loro sforzi”.
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La mancanza di trasparenza
Il report punta il dito sulle politiche di scarsa trasparenza messe in atto dalle piattaforme di social media. Se è vero che, da una parte, piattaforme come Youtube hanno vietato la monetizzazione sui contenuti che negano il cambiamento climatico, dall’altra Twitter ha ancora molte carenze in tal senso, secondo il report della ONG. Il report contiene anche un punteggio assegnato alle singole piattaforme, costruito grazie ad un sistema di domande di valutazione in 27 punti per analizzare le politiche di disinformazione e misinformazione climatica su Facebook, Pinterest, TikTok, Twitter e YouTube. Ad ogni domanda era possibile rispondere “si” oppure “no”. Per ogni domanda di valutazione, il social media guadagnava un punto in caso di impegno positivo nei confronti della tematica valutata. Se, al contrario, il social media non aveva una politica chiara rispetto alla tematica o non avesse compiuto uno sforzo in quella direzione, non veniva attribuito nessun punteggio. Ciò che è emerso è che, secondo Greenpeace, tutte le piattaforme di social networking ad eccezione di Pinterest e Youtube non adottano una politica di definizione della disinformazione / misinformazione climatica da parte di esperti in cambiamento climatico.
Le soluzioni proposte
Il report propone anche delle possibili soluzioni per mitigare il fenomeno e favorire una maggiore trasparenza:
- La pubblicazione di rapporti settimanali sulla trasparenza, atti a descrivere nello specifico la portata e la prevalenza della mis/disinformazione climatica sulle piattaforme e l’impegno per mitigare il fenomeno
- La pubblicazione di dettaglio con tutte le azioni intraprese nei confronti di chi non rispetta le politiche della piattaforma, nel contesto della disinformazione e misinformazione climatica.
- L’adozione di politiche sulla privacy e sulla protezione dei dati per proteggere gli individui e le comunità che potrebbero essere vittime di disinformazione e misinformazione climatica.
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