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Approvato il piano PITESAI, che prevede nuove autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi sul territorio italiano. Il via libera a nuove trivellazioni in mare e a terra desta numerose preoccupazioni fra gli ambientalisti, che non risparmiano le critiche.
Piano Pitesai. Dopo la comunicazione di un cambio di ritmo nell'iter di approvazione da parte del Ministero della Transizione ecologica, la strategia da tempo annunciata- che prevede nuove autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi sul territorio italiano- diventa realtà. Nuove trivellazioni in mare e a terra dunque che, accanto alla proposta del Presidente del Consiglio Draghi di riesumare il carbone per far fronte all'attuale crisi energetica, desta dubbi e preoccupazioni in merito al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2025.
Che cos'è il piano PITESAI
Il Piano per la prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi (Pitesai), il cui iter di approvazione si è concluso lo scorso 11 febbraio 2022 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, consente agli operatori di 15 regioni sul territorio nazionale (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto) di dare il via a nuove trivellazioni in mare e a terra. Sono escluse le aree dove il gas non è presente, ovvero Valle D’Aosta, Liguria, Trentino Alto Adige, Toscana (fatte salve le concessioni in essere), Umbria e Sardegna. Secondo i criteri del Pitesai- che limitano le attività al gas escludendo il petrolio- il 42,5% del territorio nazionale è considerato area idonea alle trivellazioni. Con la sua adozione, inoltre, si potrebbero sbloccare circa 50 permessi di ricerca già presentati, per una superficie di 12mila km2 tra Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Molise e Puglia. Le aree marine ritenute idonee sono, invece, l’11,5% del totale nazionale, concentrate nel Canale di Sicilia, lungo le coste dell’Adriatico fra le Marche e l’Abruzzo, della Puglia e alcune zone all’altezza di Venezia.
Che cosa prevede
Il Piano PITESAI riduce l’estensione dell’area di estrazione del 50% su terra e dell’89% in mare, senza tuttavia porre limiti o scadenze temporali alla produzione ed escludendo di fatto soltanto le zone in un il gas risulta assente.
In estrema sintesi, prevede:
- la chiusura alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di tutte le aree marine e terrestri non comprese nell’ambito territoriale di riferimento della pianificazione e valutazione del Piano;
- l’individuazione di due livelli di analisi differenti delle aree idonee per la valorizzazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle attività di ricerca ancora da avviare, e di quelle di ricerca o coltivazione già in essere.
Gli obiettivi dichiarati
Secondo quando dichiarato dal Ministero della Transizione Ecologica, il piano PITESAI ha l’obiettivo di “fornire regole certe agli operatori e di accompagnare la transizione del sistema energetico nazionale definendo le priorità sia in un’ottica di decarbonizzazione – in linea con gli accordi internazionali di tutela dell’ambiente e della biodiversità – che del fabbisogno energetico”.
Una strategia pare rispondere, inoltre, alla proposta del Governo di incrementare la produzione nazionale di gas per far fronte all'attuale crisi energetica e ai conseguenti rincari in bolletta.
Le preoccupazioni degli ambientalisti
L'approccio proposto dalla versione finale del PITESAI scontenta le principali organizzazioni ambientaliste, secondo le quali un processo di decarbonizzazione che possa realmente definirsi tale richiede ben altra determinazione.
In particolare, Legambiente, Wwf e Greenpeace- le tre maggiori ong ambientaliste che il Ministero aveva coinvolto nel 2019 nel processo di definizione del Pitesai – sono concordi nell'affermare che il MiTE avrebbe dovuto impedire il rilascio di nuove autorizzazioni e indicare un termine ultimo per ogni attività estrattiva, oltre a escludere aree con produzione residuale, limitrofe ad aree protette o ecosistemi fragili.
“L’unica alternativa per ridurre davvero le bollette e aiutare allo stesso tempo l’ambiente e le famiglie ad abbattere i costi è incentivare le rinnovabili” si legge in una nota diffusa da Greenpeace Italia. “[…] Occorrono soluzioni credibili e radicali per ridurre le emissioni di CO2, semplificando le procedure autorizzative, garantendo un ruolo sempre maggiore alle fonti rinnovabili e ai sistemi di accumulo e correggendo e stabilizzando il superbonus edilizio del 110%. Il governo Draghi sta per spalancare le porte del Paese alle trivelle, buttandosi definitivamente senza se e senza ma tra le braccia di Eni&co, a riprova che la sua è solo 'finzione ecologica'”.
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