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Intervista a Marisa Parmigiani, Presidente del Sustainability Makers, Head of Sustainability & Stakeholder management del Gruppo Unipol e Direttrice della Fondazione Unipolis.
Nata nel 2006 con il nome CSR Manager Network, nel 2021 l’associazione modifica la propria ragione sociale in Sustainability Makers – the professional network, prima e unica associazione in Italia che riunisce le professionalità che si dedicano alla definizione e alla realizzazione di strategie e progetti di sostenibilità, nelle imprese e in altre organizzazioni. A cosa è stato dovuto il cambio di denominazione e di logo?
Questo cambiamento è la risposta a una vera e propria necessità, ampiamente diffusa e profondamente sentita all’interno della nostra base sociale: la necessità di comunicare chiaramente sia l’evoluzione degli appartenenti alla nostra associazione sia il mutamento di scenario cui abbiamo assistito negli ultimi anni nel mondo della sostenibilità e del business. Dall’anno di fondazione nel 2006, infatti, la Corporate Social Responsibility (CSR) da tematica all’avanguardia, sviluppata da pochi manager e accademici visionari, ha lasciato il passo alla sostenibilità: una parola che oggi integra gli ambiti del sociale, dell’ambiente, dell’economia; un marker riconosciuto in tutto il mondo, intorno al quale si sono sviluppate delle professionalità diverse, non solo di tipo manageriale, ma che spaziano in modo trasversale alle funzioni e sono rivolte verso un unico obiettivo: modificare il modello di business attraverso l’integrazione dei principi di sviluppo sostenibile. In questi 15 anni di attività, nella nostra associazione abbiamo maturato una sempre maggiore consapevolezza e competenza sulle nuove frontiere della professione sostenibilità: abbiamo così sviluppato un piano di azione strategico con iniziative in grado di abbracciare tematiche di base e argomenti innovativi rivolti a una base associativa che rispetto al passato è divenuta molto più ampia e varia nelle sue funzioni. Al contempo, abbiamo deciso di dare un segnale forte nella direzione della serietà e dell’autorevolezza, della concretezza e della trasparenza. Noi professionisti e professioniste della sostenibilità possiamo fare la differenza solo attraverso le azioni: siamo Sustainability Makers, not just talkers.
La sostenibilità è ormai al centro delle politiche programmatiche nazionali e comunitarie. A suo avviso qual è il settore merceologico che in Italia ha recepito più degli altri l’importanza di adottare un modello economico sostenibile nelle tre dimensioni: economica, sociale e ambientale?
Non penso si possa indicare un settore specifico, in quanto abbiamo casi di eccellenza e buone pratiche in ogni settore. Forse si può evidenziare come, in Italia come all’estero, le imprese quotate e quelle di maggiori dimensioni sono state tra le prime ad aver sviluppato una governance e un piano strategico di sostenibilità, ma è altrettanto vero che accanto ad esse si trovano molte imprese di minori dimensioni che pongono da anni la sostenibilità al centro, come driver di crescita e di generazione di valore condiviso. Tra le imprese di maggiori dimensioni sicuramente il settore delle multiutilities e quello finanziario sono state particolarmente sollecitate ad adottare strategie di sostenibilità dai provvedimenti normativi promossi dalla Commissione Europea nella lotta al cambiamento climatico. Dal punto di vista dell’associazione dei professionisti della sostenibilità che rappresento, mi fa piacere evidenziare come il professionista della sosten0ibilità nelle imprese italiane, a prescindere dal settore merceologico, si stia affermando come figura sempre più strategica in Italia. Lo si evince dal IV Osservatorio “Governance della Sostenibilità” che abbiamo realizzato con ALTIS Università Cattolica: il ruolo del Sustainability Manager è in crescita come lo è la sua collocazione nella governance delle imprese; si è passati dall’essere in organico in Amministrazione e Bilancio o, ancor più spesso, in Comunicazione, ad essere alle dirette dipendenze del vertice aziendale, in un caso su 4 riportando al direttore generale (25,6%) e nel 22% dei casi direttamente al CEO. L’accesso al vertice con continuità è fondamentale sia per capire meglio la purpose aziendale ed essere in grado di proporre indirizzi coerenti e quindi effettivamente implementabili dall’organizzazione, sia per il commitment che tale allocazione garantisce in un universo, come quello italiano, ancora profondamente gerarchico. È una posizione che richiede determinazione, coraggio e un pizzico di abnegazione. Il Sustainability manager, infatti, deve essere un abilitatore di cambiamento con una visione di medio-lungo periodo. Per questo un ambito di lavoro prioritario per il Sustainability Makers è quello di definire strumenti e percorsi di ulteriore qualificazione e continuo aggiornamento, forte anche della nostra relazione con l’Università, che aiutino i professionisti ma facilitino anche i processi di selezione e crescita, declinando, appunto, le regole del mercato.
Sustainability Makers – the professional network ha come mission, tra l’altro, quella di promuovere l’autorevolezza dei professionisti e delle professioniste della sostenibilità per il bene dell’impresa e della società. Crede che gli strumenti messi a disposizione dalle Istituzioni nei confronti delle imprese siano sufficienti per far comprendere l’importanza e la necessità di adottare nuovi modelli produttivi? Ritiene a tal proposito che la comunicazione sia efficace o carente in alcuni aspetti? Se sì in quali?
Sicuramente negli ultimi anni, a partire dall’approvazione dell’Agenda2030, abbiamo assistito ad una crescente azione di promozione dei temi di sostenibilità da parte delle Istituzioni, prima internazionali, ma poi anche locali sui diversi stakeholder, sistema produttivo incluso. Questa diffusa consapevolezza dell’urgenza del cambiamento tra i decisori pubblici ha sicuramente stimolato in particolare la piccola e media impresa ad interrogarsi sulle conseguenze del proprio operato. D’altro canto, come anticipato, sono stati numerosi ed altamente impattanti i provvedimenti normativi adottati dalla Commissione Europea per promuovere comportamenti sostenibili nei processi produttivi. In particolare ritengo efficace la scelta della stessa di incidere sui flussi finanziari per trasferire risorse a vantaggio della transizione penalizzando le scelte a sostegno della brown economy, proprio per il potenziale d’impatto su gli altri settori che questo tipo di intervento può produrre. Complessivamente sui temi ambientali credo che comunicazione, ingaggio e riflessione pubblica siano stati sicuramente ben sviluppati, mentre ancora debole è stata l’attività effettuata per gli aspetti di natura più sociale come la lotta alla disuguaglianza.
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