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Inizia da oggi la rubrica in collaborazione con ASLA, Associazione degli Studi Legali Associati, presieduta dall’Avvocato Giovanni Lega, Fondatore e Managing Partner di LCA Studio Legale. La rubrica avrà ad oggetto il commento delle più importanti sentenze in materia ambientale da parte di alcuni Studi Associati aderenti ad ASLA.
Il contributo di oggi è stato fornito dall'Avvocato Luca Tronconi dello Studio Legale B&P Avvocati.
Il Consiglio di Stato torna a confrontarsi con gli obblighi di diligenza gravanti sul proprietario non responsabile dell’abbandono di rifiuti sull’area di sua proprietà da parte di terzi.
Non è raro nel nostro Paese che il proprietario di un immobile si veda notificare un’ordinanza con la quale il Sindaco gli intima di rimuovere e smaltire i rifiuti che soggetti terzi, non identificati, hanno abbandonato sulla sua area; si pensi, ad esempio, agli episodi un anno fa abbastanza frequenti nel Nord Italia di rifiuti abbandonati nottetempo all’interno di capannoni poco o nulla sorvegliati, spesso appartenenti a imprese fallite.
Di questa situazione si occupa l’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 che sancisce il divieto di abbandonare rifiuti e prevede, in caso di violazione, l’obbligo di rimozione. Ovviamente stiamo parlando di chi, materialmente, ha abbandonato i rifiuti. Tuttavia – lo prevede sempre l’art. 192 – anche il proprietario dell’area può essere obbligato al ripristino qualora l’abbandono sia avvenuto anche per sua colpa. Ma cosa dovrebbe fare il proprietario per non essere danneggiato (dall’abbandono di rifiuti) e beffato (dal doverli pure rimuovere e smaltire a sue spese)?
La sentenza n. 7567 del 3 dicembre 2020 del Consiglio di Stato si è confrontata proprio con questo interrogativo e ha ribadito un concetto che altre sentenze avevano affermato: il proprietario è senza colpa se fa ciò che, in concreto e in misura proporzionata, è in grado di fare per impedire o quantomeno scoraggiare le intrusioni abusive nella sua area. Il caso di specie riguardava una Società chiamata a rimuovere rifiuti presenti sulla sua area e abbandonati da nomadi che la avevano occupata abusivamente.
La Società ha presentato ricorso al TAR Lazio, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Sindaco le aveva imposto la rimozione dei rifiuti. Con sentenza n. 8725/2018, il Tribunale ha respinto il ricorso ravvisando la colpa della Società proprietaria per non avere posto in essere gli “accorgimenti idonei ad impedire l’accumulo di tali materiali”, quali ad esempio la recinzione del fondo o agire in giudizio contro i nomadi per costringerli a liberare l’area. La Società non si è data per vinta e ha presentato appello al Consiglio di Stato. Ed ha avuto ragione. Con la sentenza n. 7567/2020 il Consiglio di Stato ha stabilito che l’omessa recinzione non significa che il proprietario sia stato negligente, infatti “nel nostro sistema (art. 841 c.c.) la recinzione è una facoltà (ossia un agere licere) del dominus: come tale, la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo (art. 1127, comma 1, c.c.) ovvero in un onere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma 2, c.c.)”.
Né, men che meno, sarebbe servito fare causa ai nomadi poiché, secondo il Consiglio di Stato, “tale azione, tenuto conto della natura di questi ultimi, sarebbe stata con ogni evidenza priva di effetti utili”. Pertanto, conclude la sentenza, la Società “ha fatto tutto quello che poteva fare, ossia segnalare ripetutamente alle preposte Autorità l’avvenuta occupazione, chiedendo che venissero adottati provvedimenti a tutela della sua proprietà”. Questo è dunque l’orientamento più recente del Consiglio di Stato, ma va ricordato che in passato vi furono altre sentenze, come quella del TAR Lazio sopra richiamata; opportuno, dunque, che ogni situazione venga valutata attentamente, caso per caso.
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