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Intervista a Giampaolo Russo, Direttore Generale di ASSOGAS.
Nonsoloambiente.it si pone da sempre come obiettivo quello di fornire un’informazione chiara e contestualizzata su primari argomenti di attualità che abbiano ricadute dirette o indirette sull'ambiente. In tal senso – ogni martedì – Maria Grazia Persico intervisterà le prime linee di aziende direttamente coinvolte nel tema che desideriamo approfondire.
In base alle notizie diffuse negli ultimi giorni, la costruzione del “Corridoio Meridionale del Gas” è ormai terminata. Si dice, difatti, che TAP sarà pronto ad avviare il servizio di trasporto a partire da metà novembre. Ritiene che con un’infrastruttura strategica del genere l’Italia potrà essere considerata davvero hub del gas? Secondo Lei il TAP quali effetti porterà nei Paesi interessati dal suo attraversamento?
Direi di no: TAP è un progetto che si sviluppa nell’ambito del corridoio meridionale del gas sviluppato dall’Unione Europea nei primi anni 2000 quando il ruolo e le prospettive del gas erano comunque diverse e non vi era ancora sul tavolo l’ambizioso obiettivo della piena decarbonizzazione al 2050. Allora si pensava che il gas fosse davvero l’attore fondamentale dei sistemi energetici. Oggi, invece, il gas è il compagno di viaggio ideale per la transizione. In questo contesto va valutata la potenziale stabilità nei prossimi anni del consumo in Italia, per poi, a scenari PNIEC, andare progressivamente a calare.
Ciò implica uno scarso interesse a realizzare nuove infrastrutture di importazione, non volendo in questa fase toccare la colpevole distrazione rispetto all’estrazione di idrocarburi nazionali. Con la riduzione del contributo del gas algerino e la instabilità di quello libico, TAP non consente di conseguire l’obiettivo di realizzazione dell’hub, obiettivo tra l’altro non perseguito dal governo italiano. Per quanto riguarda, invece, gli effetti ed i benefici TAP si ricorda che il sostegno al progetto, garantito dal governo Monti, era dato dall’impegno ad offrire il gas con formule contrattuali ancorate ai prezzi spot, cosa che all’epoca era assai rilevante. Oltre alla Grecia, il paese che maggiormente può annoverare il beneficio dall’attraversamento è l’Albania: TAP rappresenta la prima infrastruttura di gas del paese dalla quale poter derivare una rete di distribuzione diretta in primis alle forniture al settore industriale e rappresentare così un volano di sviluppo.
Lo scorso 14 ottobre la Commissione Europea ha reso nota la valutazione finale dei PNIEC degli Stati membri. Per quanto riguarda l’Italia gli obiettivi sono stati valutati “sufficientemente ambiziosi” da parte della Commissione. Crede che le risorse messe a disposizione dal Governo per la realizzazione delle opere pubbliche destinate alla transizione ecologica siano sufficienti per poter parlare di “rivoluzione green”?
Anche qui la risposta è negativa. Il tema delle risorse, a mio avviso, dovrebbe essere coniugato con quello della costruzione di un efficiente perimetro di funzionamento della macchina autorizzativa. L’aspetto legato alla “macchina autorizzativa” rappresenta senza dubbio uno dei punti più critici per poter accedere alle risorse del Next Generation EU. Questo quadro va visto come integrante le politiche del Green Deal e ci vede fortemente deficitari nella capacità di programmazione ed esecuzione, monitoraggio e rendicontazione. In 40 anni circa di fondi strutturali, l’Italia non ha mai portato a compimento una efficace programmazione comunitaria.
La complessa macchina autorizzativa italiana ha un duplice, enorme problema: l’età media di chi la compone è piuttosto avanzata e ha competenze digitali molto limitate. In questo contesto, inoltre, deve sottolinearsi che non solo non esiste un’infrastruttura “digitale” ma anche “normativa” che vada a rendere più fluidi i processi. Tutto ciò induce a pensare, quindi, che il PNIEC stia stato concepito più come un piano evolutivo rispetto alla programmazione fatta a suo tempo dai ministri Scajola, Passera e Calenda che una programmazione nuova vera e propria. E’ mancata una riflessione sulla reale dinamica dei meccanismi istituzionali e sulla effettiva capacità di gestione dei procedimenti. Il vero tema, quindi, non è tanto valutare l’ambizione dei programmi inseriti nel PNIEC quanto misurare la capacità realizzativa e misurare i risultati dei progetti fatti.
Nelle scorse settimane la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato di voler rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050. A suo avviso quale sarà il ruolo dell’idrogeno: potrà fornire una valida risposta al problema dello stoccaggio e in quale percentuale potrà contribuire alla transizione energetica?
Uno dei problemi legati all’idrogeno è rappresentato dai costi, più quelli operativi che di capitale. Oggi, in diversi paesi l’idrogeno è entrato prepotentemente nell’agenda energetica. In Italia pure sembra essere partita questa corsa, sia con iniziative di operatori che tavoli istituzionali e già emergono conflitti tra chi vuole promuovere solo l’idrogeno verde e chi invece ritiene opportuno anche lo sviluppo di quello blu. Prima di arrivare ad una sovraproduzione di energie rinnovabili tale da permettere la costituzione di una filiera dell’idrogeno verde a costi competitivi, occorre molto tempo, magari sarebbe opportuno contemplare la realizzazione del Desertec in Africa.
A distanza di più di 20 anni, ancora non si è riusciti a rendere economicamente (forse anche socialmente, per la difficile accettabilità sociale di eventuali CO-dotti per trasportare la CO2 dagli impianti che la producono ai luoghi di stoccaggio) sostenibile la CCS o CCUS (Cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2), per cui appare fondamentale misurare il potenziale di sviluppo dell’idrogeno alla luce di due fondamentali principi: quello di neutralità tecnologica e di sostenibilità economica. Alla luce dello stato dell’arte, quindi, mi viene da pensare che stiamo pensando all’idrogeno senza che siano stati ancora risolti altri problemi. Occorrerebbe per esempio ragionare sulla rete infrastrutturale esistente e riflettere se sia o meno possibile un suo utilizzo e a quali condizioni. L’idrogeno può sicuramente avere un ruolo importante ma fare valutazioni realistiche su numeri e stime risulta molto difficile se non impossibile allo stato attuale.
La portata innovativa del decreto Letta in materia di gas possiamo intenderla al pari di una “rivoluzione copernicana” dal momento che introduceva l'affidamento del servizio del gas tramite le gare. Da parecchio tempo l’intera procedura sembra versare in una condizione di stallo che potrebbe, invece, generare un flusso di investimenti importanti presso gli enti locali e diventare, così, strumento strategico per risollevare l’economia di alcune zone del nostro Paese. Secondo Lei a cosa è dovuta questa “paralisi” e perché non si è ancora fatto nulla a riguardo?
Sono ormai trascorsi 20 anni dall’adozione del Decreto Letta e ancora non si è completato il disegno di mercato da questo preconizzato. La diversa articolazione territoriale ed il consolidamento degli operatori attraverso le previste procedure di gara è in stallo totale. Assogas ha inviato al MiSE e all’ARERA una proposta, frutto di un’articolata analisi normativa e quantitativa, che attraverso interventi mirati sul quadro normativo (in particolare le Linee Guida) dovrebbe consentire, finalmente, la partenza di questo processo. Questa proposta prevede anche la giusta valorizzazione delle reti di proprietà degli enti locali: il loro valore passerebbe da circa €2,8 miliardi a €3,7 miliardi liberando importanti risorse per politiche territoriali. Il processo di gare genererebbe poi un rilevante flusso di investimenti da parte degli operatori.
Aspetto che in questa fase dovrebbe motivare una maggiore attenzione da parte del decisore politico. La scorsa estate abbiamo accolto con favore e partecipato all’iniziativa del MiSE di convocare istituzioni ed operatori per discutere e condividere interventi per rimuovere la summenzionata “paralisi”: tale sforzo doveva confluire, con un emendamento, nella conversione del DL Semplificazioni e poi del DL Agosto ma non se n’è fatto nulla. Siamo impegnati a riproporre con energia il tema in sede istituzionale auspicando di ottenere ascolto e soprattutto l’adozione di una proposta che consenta, finalmente, di conseguire attraverso le gare un settore della distribuzione del gas naturale ancora più efficiente e pronto ad accompagnare il sistema energetico verso la decarbonizzazione.
Ultimamente la mobilità sostenibile sembra essere al centro dell’attenzione da parte del Governo considerata anche la rilevante quantità di incentivi destinati in tal senso. Secondo Lei è stato attentamente valutato il reale impatto che un ingente richiesta di elettricità dovuta al caricamento di questi mezzi “alternativi” potrebbe avere su reti urbane particolari, quale ad esempio quella di Milano, in cui durante il periodo estivo si registrano frequenti blackout?
La domanda appare estremamente rilevante: i blackout nei periodi di maggiore carico estivo non interessano solo Milano ma non trovano spazio nei documenti di programmazione energetica. Solo nel periodo recente, due AD di importanti società che gestiscono reti di distribuzione elettrica urbana hanno dichiarato l’inadeguatezza delle proprie reti a gestire maggiori carichi per accompagnare lo sviluppo della mobilità elettrica. Sembra talvolta quasi voluta la mancata valutazione di questa rilevante criticità mentre d’altra parte si promuove sensibilmente la mobilità elettrica. Questa spinta sembra avulsa dalla necessaria valutazione degli impatti sull’industria italiana come anche di considerazioni geopolitiche: passare da mobilità termica ad elettrica significa aumentare sensibilmente la dipendenza dalla Cina leader mondiale non solo nella produzione di mezzi elettrici ma anche di più del 50% delle terre rare, necessarie per la realizzazione delle batterie.
Si dirà ma la scelta risponde ad un obiettivo di natura ambientale per l’abbattimento dell’inquinamento (solo del lato trasporti però) nei centri urbani. Ora, dati i vincoli di rete e a risorse economiche finite, in un paese che ha circa 10 milioni di veicoli tra Euro 0 ed Euro 4 non ottengo un beneficio ambientale migliore se accompagno una veloce sostituzione dello stesso con auto Euro 6 termiche, magari a metano, incentivando l’acquisto anche dell’usato, con esonero dall’oneroso passaggio di proprietà, del bollo per alcuni anni? La domanda mi sembra pleonastica, vi sono già analisi chiare fatte in maniera che confermano quanto detto.
GIAMPAOLO RUSSO
Dopo il completamento degli studi in Scienze Politiche con specializzazione in Economia all’Università Luiss di Roma, Giampaolo Russo ha iniziato il suo percorso professionale alla Banca d’Italia dove, nei 17 anni di carriera, ha ricoperto varie posizioni tra cui quella di coordinatore del Sottocomitato Finanziario del Comitato per l’Euro e poi Financial Attaché alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles. Sono seguite esperienze in Enel, Glaxo-SmithKline, Edison – dove dal 2007 ha diretto sia a livello nazionale che europeo il dipartimento Public and Regulatory Affairs, rispondendo direttamente al CEO. Nell’ottobre del 2012 diventa Amministratore di TAP Italia, dove ha gestito tutto il processo dalla costituzione della sede al perfezionamento di tutto l’iter autorizzativo. E’ Direttore Generale di ASSOGAS dal settembre 2018.
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