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Una pandemia al sapore di plastica. Un reportage di Reuters lancia l'allarme: la crisi sanitaria globale sta compromettendo i risultati raggiunti faticosamente negli anni con l'avvio di pratiche virtuose di riduzione, riuso e riciclo di questo materiale, acerrimo nemico dell'ambiente.
Tra le innumerevoli colpe del Coronavirus, c'è anche quella di aver scatenato- a dispetto dei passi avanti compiuti faticosamente nel corso degli anni- una vera e propria corsa alla plastica. Il reportage di Reuters “Plastic pandemic- COVID 19 trashed the recycling dream” lancia un preoccupante allarme: la pandemia si sta rivelando deleteria non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal punto di vista ambientale, gettando scompiglio nelle buone pratiche pensate per arginare l'abuso delle materie plastiche.
Le 3 R sono in pericolo
Riduzione, riuso, riciclo. Sono, in ordine di importanza, le azioni universalmente riconosciute come efficaci nella lotta alla plastica. Tutte azioni che, secondo quanto riportato, hanno subito un forte arresto dall'avvento della pandemia.
“Da Wuhan a New York, la richiesta di visiere, guanti usa e getta, contenitori per alimenti da asporto e pluriball per gli acquisti online è aumentata. Molti di tali oggetti non possono essere riciclati, e così neppure i rifiuti da essi generati” dichiara Reuters. Per quanto riguarda le mascherine monouso, parzialmente realizzate in plastica, la Cina ne ha utilizzate 116 milioni solo nel mese di marzo 2020 e la loro produzione nel Paese dovrebbe superare i 100 miliardi nel 2020, secondo un rapporto della società di consulenza cinese iiMedia Research.
Ma non è tutto: stando all’analisi, la pandemia ha intensificato una guerra dei prezzi tra plastica riciclata e nuova, prodotta dall’industria petrolifera. L'esito della battaglia purtroppo è, ad oggi, appannaggio dei produttori di plastica per una questione prettamente finanziaria: il rallentamento economico ha portato a un calo della domanda di petrolio, con un conseguente calo del prezzo della nuova plastica. In sintesi, conviene produrre nuova plastica anziché riciclare quella già esistente. E così, dall'avvento del Coronavirus le attività di riciclo si sono ridotte di oltre il 20% in Europa, del 50% in alcune parti dell’Asia e fino al 60% in alcune aziende negli Stati Uniti.
I danni ambientali della plastica
Eppure, i danni ambientali riconducibili a un uso sconsiderato della plastica- dimostrati da anni di studi e ormai sotto gli occhi di tutti- non sono cambiati. Montagne di rifiuti, biodiversità danneggiata, risorse contaminate sono solo alcuni dei risvolti negativi di un materiale che, anche a fronte di lunghissimi tempi di degrado, può essere considerato a ragione uno dei maggiori nemici pubblici dell'ambiente.
La doppia faccia delle aziende
Nella sua disamina, Reuters ha intervistato 12 delle più grandi aziende petrolifere e chimiche a livello globale: BASF, Chevron, Dow, Exxon, Formosa Plastics, INEOS, LG Chem, LyondellBasell, Mitsubishi Chemical, SABIC, Shell e Sinopec. Alcune hanno fornito dettagli su quanto stanno investendo nella riduzione dei rifiuti, tre hanno preferito rifiutare di rispondere.
La maggioranza sostiene di condividere le preoccupazioni in merito ai rifiuti in plastica e afferma di essersi impegnata a mettere in campo strategie per ridurli. D'altro canto, è emerso tuttavia che gli investimenti in questo senso sono una piccola frazione di quelli destinati alla produzione di nuova plastica. Molte aderiscono a un gruppo chiamato Alliance to End Plastic Waste, che ha promesso di investire 1,5 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per contrastare l’inquinamento da plastica. Uno sforzo di poco conto, se si considera che complessivamente i 47 membri- la maggior parte appartenenti al settore della plastica- hanno fatto registrare un fatturato annuo di circa 2,5 trilioni di dollari nel 2019.
“I paesi con infrastrutture di riciclaggio e gestione dei rifiuti spesso invia di sviluppo non saranno attrezzati per gestire volumi ancora maggiori di rifiuti di plastica. Stiamo letteralmente annegando nella plastica.” ha affermato Lisa Beauvilain, responsabile della sostenibilità presso l'azienda di gestione patrimoniale Impax Asset Management, interpellata durante l'indagine. A quanto pare, dunque, a modificare le priorità di un sistema socio-economico basato essenzialmente sul profitto non basta una crisi pandemica globale.
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