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Il Covid-19 ha fermato il mondo e ha dato agli esperti un’occasione unica: capire come le attività umane impattino sulla fauna selvatica. Ecco cosa svelerà la ricerca.
La maggior parte dei Paesi nel mondo ha vissuto un lockdown per via dell’emergenza sanitaria Covid-19. Il blocco delle attività umane ha permesso agli studiosi di esaminare le relazioni tra uomo e natura. In particolare, nella ricerca pubblicata su Nature Ecology & Evolution, gli scienziati hanno iniziato ad esaminare l’impatto che le attività umane hanno sulla fauna selvatica.
Per il gruppo di studiosi, guidati da Christian Rutz, biologo dell'Università di St Andrews, (UK) e presidente della International Bio-Logging Society, questo momento, pur essendo drammatico, è unico per tracciare su scala globale l’influenza della moderna mobilità sulla fauna selvatica. In virtù di questo principio, il gruppo di scienziati ha dato vita al "COVID-19 Bio-Liative Initiative", un consorzio internazionale che esaminerà i movimenti, il comportamento e i livelli di stress degli animali, prima, durante e dopo il lockdown, utilizzando i dati raccolti con dispositivi elettronici posti sugli animali (i "bio-logger").
I presupposti della ricerca
Nelle settimane di lockdown, si è assistito ad un vero e proprio “ritorno” alla natura di alcune zone, tipicamente prerogativa delle attività umane. In questo frangente, gli animali si sono riappropriati dei loro habitat. Si pensi, ad esempio, agli avvistamenti di delfini nelle acque di Trieste o ai puma che si aggiravano nel centro di Santiago, in Cile. Tuttavia, per molte specie, il lockdown è stato drammatico da superare: animali come ratti e gabbiani hanno difficoltà a reperire cibo senza le attività umane. Questo principio vale nelle città, ma anche nelle zone più remote: molte specie come i rinoceronti o i rapaci sono a rischio bracconaggio senza la tutela umana.
Come funziona lo studio
"In tutto il mondo, i biologi impegnati nella ricerca hanno dotato gli animali di dispositivi di localizzazione in miniatura - ha dichiarato il professor Christian Rutz. "Questi dispositivi sono una miniera d'oro di informazioni sul movimento e sul comportamento degli animali, che ora possiamo sfruttare per migliorare la nostra comprensione delle interazioni uomo-fauna selvatica, con benefici per tutti". Nel team di ricerca è presenta anche la dottoressa Francesca Cagnacci, ricercatrice della Fondazione Edmund Mach di Trento. L’obiettivo del lavoro di ricerca è quello di comprendere meglio la vita e i movimenti degli animali selvatici nei paesaggi moderni e l’impatto che le attività umane hanno su questi processi.
"Nessuno sta chiedendo alle persone di rimanere bloccate per sempre - ha dichiarato il professor Martin Wikelski, direttore dell'Istituto Max Planck di Radolfzell - ma potremmo scoprire che cambiamenti minori nei nostri stili di vita e nelle nostre reti di trasporto possono potenzialmente avere benefici significativi sia per gli ecosistemi che per gli esseri umani”. Grazie alla ricerca, sarà possibile identificare le specie gravemente compromesse dall'attività umana, ma che hanno ancora la capacità di rispondere ai cambiamenti, così come altre che restano particolarmente vulnerabili. Esaminare l’interazione uomo-fauna permetterà anche di capire le soglie critiche oltre le quali i disturbi umani hanno effetti dannosi sul comportamento degli animali, sulla persistenza delle specie e sulle dinamiche dell'ecosistema".
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