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L'ONU inserisce tra gli obiettivi di Agenda 2030 un freno allo sfruttamento insostenibile delle risorse ittiche e acquatiche del pianeta e il raggiungimento di un equilibrio sano per l'intero ecosistema marino.
Tra i vari temi che l'Agenda 2030 dell'ONU affronta, un ruolo centrale è occupato dalla sostenibilità e la salute di mari e oceani, su un'ipotetica scala di importanza, occupa un gradino decisamente elevato. A tal proposito l'obiettivo dell'Agenda 2030 è quello di rivoluzionare e migliorare le tecniche di sfruttamento delle risorse ittiche per limitare drasticamente l'impatto negativo che l'intervento umano esercita sull'intero ecosistema acquatico.
Basterebbe dare uno sguardo ai dati relativi ai consumi di prodotti ittici e alle modalità seguite per il loro approvvigionamento per rendersi conto della concreta necessità e urgenza di un'azione rapida sul tema. Il primo dato da prendere in esame è l'incremento del consumo pro capite dei prodotti della pesca che, complice anche l'esponenziale aumento demografico che il pianeta ha dovuto affrontare negli ultimi 60 anni, è passato dai 9 chilogrammi registrati nel 1961 ai circa 20 del 2016.
In quell'anno la produzione ittica mondiale ha raggiunto l'impressionante cifra di 171 milioni di tonnellate, un numero mai toccato prima e che, secondo le stime della FAO (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), nel 2030 avrà subito un aumento del 18%. Di questi 171 milioni di tonnellate di prodotto ittico si è stimato che il 47% è derivante dell'acquacoltura mentre il restante 53% dalla pesca. Di questo 53% però, oltre la metà dei pesci sono stati catturati con metodologie insostenibili e inefficaci essendo oltretutto causa di enormi quanto inaccettabili quantitativi di scarti. Tale scarto sarebbe stato stimato addirittura in circa l'11% della pescato globale e si compone da nient'altro che pesci di dimensioni non idonee alla lavorazione o di specie differenti.
Già soltanto questo ultimo dato dovrebbe essere sufficiente per far capire quanto le pratiche per l'approvvigionamento di prodotti ittici siano ancora oggi insostenibili. Il motivo del perpetuarsi di queste scelte però è presto detto: minori sforzi per un maggiore profitto. Ma è altrettanto evidente come senza un cambio di rotta l'equilibrio e la buona salute dell'intero ecosistema marino siano destinati ad aggravarsi e vacillare sempre di più.
Probabilmente il cambio delle abitudini alimentari della popolazione ha una incidenza su questo fenomeno. Infatti per assecondare la crescente domanda di prodotti ittici stanno costantemente aumentando i volumi derivanti dall'acquacoltura a discapito della pesca, ma occorre specificare che non si tratta comunque di un dato necessariamente positivo. Gli allevamenti intensivi di pesce non possono costituire una risposta univoca al problema, oltretutto in virtù del fatto che buona parte del prodotto viene poi trasformata in composto per mangimi destinati agli allevamenti stessi. Ciò che si mostra oggi necessario è il raggiungimento di un equilibrio responsabile nelle abitudini alimentari di una certa frangia della popolazione mondiale i cui effetti, uniti all'altra grande croce dei mari che è l'inquinamento, stanno gravemente minando la stabilità della salute delle nostre acque. Stiamo a vedere se entro il 2030 l'obiettivo sarà raggiunto.
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