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Nel settore della cosiddetta moda sostenibile, il rischio di pratiche poco limpide come il green washing è elevato. In questo periodo, sotto indagine c'è il colosso del fast fashion H&M, accusato dalla Consumer Authority norvegese di pubblicità ingannevole.
Moda sostenibile: un obiettivo cui puntare e un criterio di scelta per un numero sempre maggiore di persone, che vorrebbero acquistare, insieme ai propri capi di vestiario, la certezza di una filiera che rispetti parametri ambientali ed etici trasparenti. Purtroppo, orientarsi in questo campo non è così semplice e pratiche poco limpide come il "green washing" possono metterci lo zampino.
In questo periodo, sotto accusa c'è il colosso svedese del fast fashion H&M. La Consumer Authority norvegese - corpo governativo indipendente - sta accertando, infatti, possibili violazioni dell'azienda alla normativa sulla pubblicità ingannevole. Sotto accusa la collezione “Conscious” che, pur identificandosi come green, non fornirebbe “informazioni precise” sulla reale sostenibilità dei prodotti.
In particolare, si accusa H&M del fatto che le sole informazioni di dominio pubblico siano piuttosto vaghe, facendo riferimento a un generico “50% minimo di materiali riciclati, organici o in Tencel”. E ancora: “A causa di limitazioni tecnologiche per assicurare qualità e durata del prodotto c'è un'eccezione- la percentuale massima di cotone che possiamo attualmente utilizzare in un capo è del 20%. Stiamo, in ogni caso, lavorando su alcune innovazioni per far crescere questa percentuale il prima possibile”.
Il vice direttore generale della Consumer Authority Bente Øverli ha dichiarato in proposito: “La nostra opinione è che H&M non sia abbastanza chiara o specifica nella spiegazione di come gli abiti della collezione Conscious siano più sostenibili degli altri prodotti del marchio in vendita. Poiché H&M non sta fornendo ai consumatori informazioni precise sul motivo per cui questi vestiti sono identificati come Conscious, concludiamo che ai consumatori venga data l'impressione che tali capi di vestiario siano più sostenibili di quanto effettivamente sono”.
Si tratta di sospetti, che al momento non sono sufficienti a permettere alla Consumer Authority di procedere con l'imposizione di ammende o sanzioni all'azienda. Secondo quanto riportato dagli stessi soggetti interessati, H&M parlerà con l'autorità per capire come comunicare “ancora meglio il suo importante sforzo”.
In qualunque modo andrà a finire, si tratta di un'accusa che fa riflettere. Soprattutto alla luce dei preoccupanti dati riguardanti l'impatto dell'industria del fashion. Secondo i numeri rivelati recentemente dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite , la moda è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. E non bisogna dimenticare le emissioni di gas serra dovute agli spostamenti delle merci da un capo all’altro del mondo. Alle coltivazioni di cotone si deve, inoltre, l'utilizzo di ben il 24% degli insetticidi usati nel mondo e dell’11% di pesticidi.
Una tendenza che va invertita a qualunque costo, anche secondo la percezione dei consumatori più attenti. The State of Fashion 2019 riporta che due terzi dei consumatori mondiali eviterebbero o boicotterebbero i brand che basano il loro business su posizioni controverse. Sono i dati a dimostrare che i clienti vogliono sostenere marchi virtuosi, con il 66% disposto a pagare di più per beni riconosciuti sostenibili.
Una linea di condotta etica, trasparente e uniforme a livello di certificazioni è dunque il primo presupposto fondamentale per un cambio di rotta. In cui estetica ed etica vadano finalmente di pari passo.
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