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Di pari passo con la divulgazione delle nuove direttive europee a tema rifiuti cresce l’impegno delle imprese per la riduzione degli sprechi e la rivalorizzazione degli scarti come risorsa, ma lo Stato Italiano mette un freno al progresso.
Economia circolare: un tema che oggi spopola sulle bocche di tanti ma al quale ancora molti non sanno dare una definizione. Il concetto che per lo più passa – a ragion veduta - è che si tratti di una cosa positiva ma la cittadinanza non è ancora del tutto consapevole del reale significato del termine. Contrariamente - ed è lecito aggiungere fortunatamente - le imprese sembrano acquisire via via una crescente padronanza del concetto. Si sta sempre più radicando nelle aziende l'impegno di riduzione dello spreco come mezzo per ridurre i costi. Anche se il fine ultimo di un'economia circolare non è unicamente un risparmio economico, quanto più invece una riduzione dell’impatto ambientale, si tratta comunque di un passo avanti.
Ora il prossimo step che le aziende nazionali devono compiere è il raggiungimento della consapevolezza che una riduzione degli sprechi non deve essere associata solamente al “consumo meno, spendo meno” ma anche, e soprattutto, è fondamentale che si percepisca il valore intrinseco dello scarto. Quindi non solo un guadagno da un minor consumo ma un ricavo dal riutilizzo dei rifiuti prodotti. È qui che va ricercato il vero valore ed è così che in parole semplici può essere sintetizzato il concetto di economia circolare.
L’Europa e i rifiuti
Già a partire dal 2006, dall’Europa sono giunte indicazioni sulla necessità da parte delle aziende di cambiare il proprio approccio al problema dei rifiuti per far sì che da scarto essi si possano convertire in risorsa. Oltre a ciò abbiamo assistito alla nascita del progetto Horizon 2020 che non solo offre suggerimenti, ma pone anche degli obiettivi a scadenza. Infatti entro luglio 2020, i Paesi che hanno aderito al progetto, dovranno obbligatoriamente applicare le nuove direttive europee.
End of waste o cessazione della qualifica di rifiuto
Se dall’Europa arrivano delle norme stringenti in materia di rifiuti, in Italia la legislazione si muove molto più a rilento o meglio a ritroso. Con il decreto n.1229 del 28/02/2018 il Consiglio di Stato ha infatti sancito che “lo Stato e solo lo Stato ha il potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto”, intendendo che un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto ad un’operazione di recupero. Di fatto, togliendo questo potere alle regioni vengono stroncate sul nascere tutte le possibili iniziative virtuose con il risultato di un inevitabile rallentamento dello sviluppo delle politiche aziendali di gestione dei rifiuti.
Diventa superfluo aggiungere che così facendo si sta creando terreno fertile per una situazione controversa e paradossale, nella quale lo Stato, anziché accelerare i tempi per l’adeguamento alle imminenti nuove normative, decide di fare un passo indietro.
Proprio nel momento in cui le aziende, piccole o grandi che siano, si stanno sempre più sensibilizzando ed evolvendo in materia di riduzione degli sprechi e valorizzazione dei rifiuti, lo Stato reagisce con una normativa che di fatto mortifica gli impegni delle imprese disincentivando lo sviluppo di iniziative virtuose. Ora non resta che stare a vedere quale strada vorrà prendere il Governo, soprattutto in vista della scadenza dei termini imposti dall’adesione ad Horizon 2020.
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