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A fronte di una grave crisi idrica globale, la desalinizzazione può essere una soluzione interessante. A patto che si utilizzino apposite strumentazioni tecnologiche per monitorare e tenere sotto controllo l'impatto ambientale di tale pratica.
Stando a un rapporto congiunto redatto da Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e Unicef, l'acqua potabile è un lusso per un terzo della popolazione mondiale. Secondo lo Stockholm International Water Institute, inoltre, nel 2030 ben il 47% della popolazione mondiale potrebbe avere problemi di scarsità di acqua. In un Pianeta composto per oltre il 70% di acqua, si tratta di un paradosso dai risvolti poco divertenti.
E così, mossi dalla necessità, si mira a sviluppare nuove soluzioni per l’approvvigionamento di acqua potabile. Uno di questi intende sfruttare proprio quell'enorme bacino acquifero offerto da mari e oceani. Si tratta della desalinizzazione, che potrebbe rappresentare una valida possibilità. Lo dimostra, ad esempio, il caso di Israele, dove 4 impianti di dissalazione garantiscono ormai quasi il 40% dell’approvvigionamento nazionale, oppure degli Emirati Arabi Uniti, dove nel porto di Jebel Ali vengono prodotti 600.000 metri cubi di acqua ogni giorno.
In questa corsa alla “creazione” di acqua dolce occorre, tuttavia, assicurarsi che gli impianti e i processi siano realizzati nel rispetto degli ecosistemi naturali. Oltre al non trascurabile fattore energetico esiste, infatti, una problematica ambientale da non sottovalutare: quello dello scarico in mare della salamoia, residuo del processo di dissalazione. Soluzione ad alta concentrazione di sale, può essere infatti molto dannosa per la biodiversità.
Con tali criticità in mente, il settore della desalinizzazione ha fatto negli ultimi anni grandi passi avanti grazie all'avvio di nuovi progetti e all’impiego di apposite strumentazioni tecnologiche in continuo miglioramento. L'utilizzo, nello specifico, di datalogger -strumenti di monitoraggio ambientale- consente di determinare il livello delle acque sotterranee e la loro composizione, con particolare attenzione alla salamoia e ad altri eventuali fattori di rischio.
All'interno di questo quadro generale, l’Italia ha grandi margini di miglioramento, avendo avviato per ora soltanto qualche progetto pilota e non avendo, all'interno del D.Lgs. 152/2006 che regola la materia degli scarichi, alcuna norma specifica sullo smaltimento della salamoia.
Anche entro dei confini nazionali, tuttavia, negli ultimi tempi il panorama va migliorando. Le tecnologie utilizzate hanno portato a una riduzione dell’incidenza di Kwh per metro cubo di acqua prodotta. Al contempo, è sempre più frequente la tendenza a integrare l’energia elettrica necessaria ad alimentare gli impianti con quella prodotta in loco da fonti rinnovabili, come il solare e l’eolico. Anche dal punto di vista dell'impatto ambientale, è ormai noto che lo smaltimento delle soluzioni saline debba avvenire seguendo precise misure che preservino la salute del mare.
Resta il fatto che, per fare “il grande passo” verso la desalinizzazione, occorre cautela e il supporto di strumenti avanguardistici. Dispositivi affidabili, che possano garantire precisione, trasparenza e soprattutto sicurezza.
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