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Secondo una ricerca Avvenia, l’Italia si distingue nell’ottenimento di fondi europei orientati alla sostenibilità. Tuttavia, i soggetti privati risultano molto più attivi ed efficaci rispetto ai funzionari pubblici, che faticano ad ottenere fondi per rendere le nostre città più smart.
La transizione verso la sostenibilità non è gratis. Servono strategie, energia, volontà e denaro. Come se la cava l’Italia nell’ottenimento dei fondi UE, destinati a convertire l’attuale sistema socio-economico-produttivo in una società quanto più possibile green e smart?
Non male, stando a una recente analisi effettuata da Avvenia, centro studi del gruppo Terna che si occupa di efficienza energetica. La ricerca ha sottolineato il dinamismo dell’Italia nella partecipazione a Horizon 2020, celebre programma europeo per la promozione delle ricerca e dell’innovazione nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Dall’avvio del programma Horizon nel 2014, con oltre 24,6 miliardi di euro l’Italia risulta infatti al terzo posto per richieste di contributo, dopo Regno Unito e Germania.
Lo studio è stato elaborato in concomitanza con l’apertura della nuova call di concessione di fondi Horizon 2020, attraverso la quale l’Europa mette a disposizione 72 milioni di euro per 9 interventi in ambito energetico. Il bando è dedicato alle imprese, che potranno presentare le richieste in partneship con il mondo accademico e i centri di ricerca. Gli ambiti di intervento previsti sono molteplici e spaziano dall‘economia circolare all’abbattimento delle emissioni, alla transizione energetica.
“Pensiamo che il tessuto produttivo italiano abbia ben compreso la centralità del tema energetico come chiave della sostenibilità e dell’innovazione” ha dichiarato Avvenia commentando i risultati e sottolineando come le sfide da cogliere siano tantissime.
In linea con quanto accade in altri Paesi europei, anche in Italia i soggetti privati risultano più attivi e dinamici rispetto a quelli pubblici, richiedendo una maggiore quantità di finanziamenti europei. Di qui, l’altra faccia dell’Italia: meno virtuosa e ancora ancorata a vecchi modelli e tecnologie.
Secondo Giuseppe Franco Ferrari, docente di diritto costituzionale dell’Università Bocconi e presidente dell’Osservatorio Smart Cities della Bocconi, la maggior parte delle città italiane sono ben lontane dal poter essere definite intelligenti o efficienti. “Non perché manchino le tecnologie innovative o perché non ci siano i fondi”afferma. “La colpa è spesso di apparati amministrativi inefficienti, di funzionari che non riescono a ottenere e a spendere le risorse che l’Europa mette a disposizione per migliorare i nostri centri urbani”.
I più recenti dati pubblicati dalla Commissione UE sul suo portale mostrano che il tasso di spesa italiano è fermo al 5-7% per i fondi di sviluppo regionale Fesr, in contrasto con una media Ue del 9,7%. E così, sebbene non manchino case histories all’avanguardia anche nel Belpaese (comuni di piccole dimensioni come Bassano del Grappa, ad esempio, sono considerati, secondo Ferrari, all’avanguardia in tema di risparmio energetico), si potrebbe fare molto di più. Come? Le leggi ci sono, e le opportunità anche. Quello che manca, ottimizzabile con una strategia orientata alla sostenibilità, è la capacità di mettere in pratica e far fruttare al meglio gli strumenti a disposizione.
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