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Le olimpiadi, ed i grandi eventi sportivi in generale, sono sempre visti come occasioni di rilancio economico e sociale, tuttavia la loro gestione risulta spesso molto problematica.
Dal punto di vista ambientale parliamo ovviamente di interventi molto impattanti: la costruzione degli impianti sportivi, le infrastrutture per gli atleti e le opere relative alla viabilità nelle città ospitanti, devono essere portate a compimento celermente e la sostenibilità spesso viene meno.
Oggi, rispetto a i decenni passati, esiste comunque una cura particolare nella prevenzione degli effetti collaterali di avvenimenti di queste portate.
I mondiali in programma in Russia, per esempio, si affideranno al rispetto del codice verde denominato BREEAM (Building Research Establishment Environmental Assessment Method) per rispettare tutti i parametri di sostenibilità edilizia.
Controllo dell’illuminazione, impianti per la raccolta differenziata particolarmente performanti, sistemi anti-spreco per le risorse idriche ed un corretto servizio di mobilità a basso impatto, sono solo alcuni dei pilastri che dovrebbero garantire a Russia 2018 il primato di evento calcistico più green degli ultimi anni.
I processi per la cosiddetta rigenerazione urbana oggi sono fondamentali negli studi a monte delle candidature olimpiche. Il rischio di ritrovarsi stadi abbandonati, cittadelle disabitate ed infrastrutture fatiscenti, è alto. Le esperienze negative di Torino e Atene hanno fatto da deterrente e -complice la crisi economica- alcune città hanno persino deciso di ritirare la candidatura (come nel caso di Roma) non avendo certezza di poter gestire un evento impattante e capace di esprimere un grande potenziale soprattutto nel breve periodo.
Così, anche le recenti olimpiadi invernali devono fare i conti con l’ambiente e l’impatto futuro che avranno sull’ecosistema naturale delle zone coinvolte.
Migliorare rispetto ai precedenti giochi di Sochi, per la Corea del Sud non sarà difficile. In Russia sono state distrutte aree protette dall’UNESCO: il litorale sulla Piana Imereti e, per la location sciistica, intere foreste del Parco Nazionale limitrofo. Ed anche la viabilità, importante quanto le infrastrutture, non ha avuto trattamento più assennato: il corridoio ferroviario e autostradale Adler-Krasnaja Poljana ha inquinato i fiumi circostanti alzando ben oltre i livelli di guardia le quantità di mercurio e prodotti petroliferi.
Il paese asiatico deve segnare una svolta, soprattutto per dare un esempio ai giochi che verranno nei prossimi decenni. A dicembre, per sottolineare gli sforzi profusi nella tutela dell’ecosistema, è stato presentato il “PyeongChang 2018 Pre-Games Sustainability Report” che ha messo in evidenza i pilastri sui quali il governo sudcoreano ha costruito la sostenibilità delle sue olimpiadi: gestione del patrimonio ambientale, controllo delle emissioni, mobilità verde, sfruttamento di energie rinnovabili. Tutto bello ma ci sono già le prime denunce.
Green Korea United infatti punta il dito su un’area di 23 ettari completamente deforestata per creare alcune piste da sci. Come denunciato anche da un’inchiesta del “The Guardian” la foresta del monte Gariwang (area protetta nel 2008, stranamente declassata giusto in tempo, nel 2013) è stata distrutta e la promessa di piantare oltre 1.200 alberi ad evento concluso, appare irrealistica.
Cosa ci consegneranno davvero le Olimpiadi di PyeongChang appena conclusesi, oltre a dieci medaglie ed uno spiraglio di dialogo tra le due coree, sarà -ancora una volta- solo il tempo a dirlo.
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