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Il Ministero dell’Ambiente ha avviato una campagna mediatica e pratica per rendere più sostenibile la Pubblica Amministrazione. Una bella novità, soprattutto in questi anni di grandi cambiamenti.
Le legislature passate sono state caratterizzate da un sistema di gestione molto frammentato: ogni Comune, Provincia o Regione, ha promosso i propri programmi di sostenibilità e questo, come già succede in altri casi, ha messo in luce le difficoltà di una regia nazionale troppo assente.
Ora, il Ministero dell’Ambiente ha deciso di dare il “Buon Esempio” lanciando una campagna di sensibilizzazione in collaborazione con AICA – Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale. Presentata durante la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, questa campagna ha un nome decisamente indovinato ed un obiettivo ambizioso: la diminuzione del 70% dei rifiuti prodotti negli uffici entro i prossimi 4 anni. Si parte quindi dal vertice per dettare le buone pratiche da imitare anche nel resto delle amministrazioni pubbliche.
Secondo gli studi del Ministero, il 45% degli scarti consiste -come è facile immaginare- in carta da ufficio, (più altri tipi di carta che complessivamente pesano per circa il 20%). A ruota, seguono i rifiuti organici, la plastica mista, la risulta di secco e residuo.
Il dato più importante, quello cioè legato alla carta, non è solo dovuto ad una mala gestio ma, in gran parte, ad un processo di digitalizzazione eccessivamente lento. Un passo, quello della traduzione informatica del materiale cartaceo, ritenuto fondamentale per un ammodernamento del sistema e -soprattutto- per l’eliminazione del problema dello spreco.
Secondo il report "Benchmark Measurement of European eGovernment Services", il nostro Paese mostra di essersi adeguato poco alle prassi di eGoverment (ovvero l’uso di internet da parte di istituzioni governative come strumento di comunicazione con i cittadini, con le imprese e tra i diversi settori dell'amministrazione). E anche nel settore privato, nonostante la digitalizzazione sia quasi in linea con la media degli altri Paesi membri, risultano carenti tutti gli indicatori di competenza, qualità e connettività.
Inoltre, per Confartigianato, i Comuni italiani gestiscono via web soltanto una piccolissima parte dei servizi più richiesti dai cittadini con forti sbilanciamenti tra le zone ricche e quelle povere del Paese.
È importante notare che la spesa pubblica in beni e servizi tocca quasi il 20% del PIL. Un flusso considerevole che, se re-indirizzato verso prassi di economia sostenibile, contribuirebbe in maniera decisiva alla transizione verde dell’intero Paese.
Secondo quanto emerso durante il Forum “Pratiche di consumo sostenibile e lavoro”, l’apporto delle buone pratiche diffuse farebbe quindi del nostro settore pubblico il motore primo di un reale processo di transizione: il “buon esempio” dovrebbe però allargare le proprie maglie, coinvolgendo anche altri settori come i consumi energetici e la mobilità sostenibile.
L’Italia è stato il primo Paese membro ad introdurre il “Green Public Procurement” (ovvero l’insieme delle prassi per scegliere "quei prodotti e servizi che hanno un minore, oppure un ridotto, effetto sulla salute umana e sull'ambiente”) ma il ritardo nella sua applicazione ci pone tra i fanalini di coda della UE. Agli acquisti ‘green’, la Pubblica Amministrazione destina appena 35 dei quasi 300 miliardi spesi in beni e servizi. Non a caso, sono pochissimi i dipendenti pubblici, intervistati durante il forum, a dichiarare che la propria sede ha già introdotto i CAM (Criteri Ambientali Minimi per tipologie di prodotto o servizio) nelle proprie procedure d’acquisto.
Dobbiamo quindi considerare l’iniziativa del Ministero dell’Ambiente come una dimostrazione di buona volontà che, nonostante le difficoltà, risulta lodevole per iniziare a portare benefici non solo ecologici ma anche economici. Citando San Francesco di Sales: “Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole."
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