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La Cop23 di Bonn si è conclusa senza aggiungere molto agli obiettivi fissati a Parigi. Sono stati registrati molti rinvii e solo piccoli passi avanti a causa di una situazione di stallo, alla quale si è rimediato consentendo l’avvio di consultazioni informali.
La conferenza COP23 è stata subito condizionata da un andamento imprevisto e certo non sperato: alcuni dei Paesi sviluppati (o cosiddetti tali), tra cui Stati Uniti, Canada, Australia e la UE tutta, si sono rifiutati, nonostante quanto previsto dall’Accordo di Parigi, di fornire i dati di valutazione riguardo le misure messe in pratica in questi anni per fronteggiare la crisi climatica.
Le Isole Fiji, per la prima volta alla presidenza, hanno così avviato dei tavoli di lavoro separati e i veri progressi, quelli globali, sono rimandati alla prossima Conferenza delle Parti.
Fortunatamente, abbiamo qualche buona notizia: innanzitutto la costituzione del ‘Patto dei Sindaci per il Clima’. In un mondo che vede più del 50% della propria popolazione vivere nei centri urbani, la presa di coscienza di circa 7400 amministrazioni pubbliche denota un passo avanti nella lotta alle emissioni che, è bene ricordarlo, si combatte nelle città quanto -se non più- che nei poli industriali.
Altrettanto positiva la proposta di Canada e Regno Unito che hanno invitato altre nazioni ad unirsi al ‘Global Alliance to Power Past Coal’, il programma per la dismissione delle produzioni energetiche a carbone. L’Italia figura tra i 25 (pochi, ahinoi) firmatari e si è detta pronta ad attuare un processo di totale decarbonizzazione da concludersi entro il 2025.
La sfida sarà duplice per il nostro Paese. Non basterà abbandonare un combustibile obsoleto ed inquinante ma bisognerà contestualmente sostituirlo con fonti a basso impatto. Molto dipenderà dall’efficacia della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, approvata dal Cdm ad inizio ottobre.
Si è parlato anche più approfonditamente di migranti climatici: Oxfam ha presentato la relazione “Sradicati dal Cambiamento Climatico”. I disastri climatici, nel solo 2016, hanno sconvolto l’esistenza di quasi 24 milioni di persone: un numero enorme che, peraltro, non tiene conto delle vittime delle cosiddette “catastrofi lente”, come la siccità o lo scioglimento dei poli.
A margine, un piccolo, grande successo: è stato reso operativo il ‘Warsaw International Mechanism for Loss and Damage’, ovvero il sistema che deve assicurare il sostegno ai paesi danneggiati dai cambiamenti climatici.
Cop23 ha purtroppo però dovuto registrare anche alcuni fallimenti: non è stato ufficialmente istituito ‘Climate Fund’, il fondo per aiutare i paesi più poveri a combattere il riscaldamento globale. Su questo fronte, molto dipenderà dalla Cina (che, grazie alla dissennata amministrazione Trump, si sta consolidando sempre più come referente globale della sostenibilità) e dall’India: entrambe, soprattutto in Africa, coltivano grandi interessi economici.
Anche in quest’ultima occasione però, ci si è ben guardati dal parlare di misure coercitive. Il grande neo che fu già di Cop21 non trova soluzione. Tutti gli accordi, i patti, gli obiettivi più o meno messi nero su bianco, ad oggi non prevedono la benché minima punizione per i paesi che non li rispetteranno.
Una Cop ‘grigia’ quella di Bonn, che ha rimarcato alcuni punti fissi ma che ci lascia -ancora- in bilico. Da una parte c’è la sensazione che incontri del genere, in un’ottica di progettualità globale condivisa, siano sempre e comunque positivi; dall’altra, rimangono i molti dubbi nati dall’assenza di una struttura sanzionatoria che costringa ad impegni fattivi di fronte ad un Ecosistema che manda segnali di crisi -quelli sì- fin troppo concreti.
Non ci resta che aspettare la prossima conferenza, nel 2018 in Polonia, come se il climate change si fermasse in attesa dei nostri comodi.
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4 Novembre 2024Iscriviti alla nostra Newsletter!
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