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A causa dell’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, è in atto un vero e proprio collasso delle proprietà nutritive delle piante commestibili, in cui aumenta la quantità di glucosio a scapito di proteine e vitamine, impattando negativamente sulla dieta alimentare.
Il cibo che arriva sulle nostre tavole non è più nutriente come un tempo. La categoria di piante conosciuta come C3, ossia il 95% delle piante della terra, compresi grano, riso, patate e orzo, perdono almeno l’8% di minerali quali calcio, potassio, ferro e zinco a causa dell’attuale concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera. La stessa cosa avviene con le proteine. Il problema sta iniziando ad acquisire rilevanza nella comunità scientifica, ma i primi studi sono nati quasi per caso.
Il primo indizio viene rilevato nel 1998. Irakli Loladze, dottorando in Matematica all’Arizona State University, sta ascoltando un gruppo di scienziati parlare di zooplancton e alghe. Spiegano come le alghe, a causa del comportamento dello zooplancton, ricevano più luce, velocizzandone la crescita. Nutrendosi di alghe, lo zooplancton avrebbe dovuto così avere più cibo a disposizione, ma nel concreto inizia a morire. Perché?
Secondo i biologi, l’accelerazione della crescita sancisce una riduzione dei nutrienti dell’alga di cui si ciba lo zooplancton. Diventa cibo spazzatura. Loladze, appassionato di biologia, non si accontenta della spiegazione. Si chiede se lo stesso problema possa affliggere l’erba, e quindi le mucche; o il riso, e quindi le persone. Inizia a studiare l’evoluzione della nutrizione umana e comprende come il problema non sia la maggior quantità di luce ricevuta dalle alghe, ma la quantità di diossido di carbonio.
Per crescere, infatti, le piante fanno affidamento su entrambi, e lo stesso processo potrebbe quindi avvenire per tutte le piante del Pianeta, comprese quelle consumate dall’uomo. Se le indagini sull’aumento dei livelli di anidride carbonica sono sempre più numerose, la ricerca svolta su quanto questo affligga le qualità nutritive delle piante commestibili è irrisoria. Loladze, al termine di diciassette anni di studi, ne è certo: lo stesso processo avviene in tutti i campi e le foreste del mondo.
“Ogni foglia e ogni filo d’erba producono una quantità di zuccheri direttamente proporzionale all’aumento di anidride carbonica”, sostiene, “stiamo assistendo alla più grande iniezione di carboidrati nella biosfera della storia dell’uomo: ciò comporta una drastica riduzione degli altri nutrienti della nostra catena alimentare”.
Negli ultimi 70 anni vitamine, minerali e proteine contenuti in frutta e verdura si sono ridotti drasticamente. I ricercatori avevano assunto che la causa primaria fosse l’approccio sempre più industrializzato delle coltivazioni e la scelta deliberata di coltivare varietà povere di calcio, zinco e vitamina c per ragioni economiche. Tuttavia, vi è un’altra responsabile di quanto sta avvenendo nelle colture: l’atmosfera.
L’atmosfera stessa sta cambiando il cibo che mangiamo. Così come l’uomo ha bisogno di ossigeno, le piante hanno bisogno di diossido di carbonio e, come assodato, il livello di quest’ultimo nell’atmosfera sta crescendo. 280 parti per milione (ppm) prima della rivoluzione industriale, 400 ppm lo scorso anno. Entro il 2050 si toccheranno le 550 ppm. Apparentemente sembra un dato positivo per la crescita delle piante, la cui fotosintesi verrebbe favorita e di conseguenza la capacità produttiva, in realtà volume e qualità non vanno a braccetto.
La fotosintesi porta sì a una maggior crescita delle piante, ma anche a immagazzinare una quantità superiore di carboidrati, come il glucosio, e tale assorbimento avviene a spese di nutrienti fondamentali per l’uomo, come proteine, ferro e zinco. Tuttavia, non è ancora chiaro quanto l’aumento della CO2 nell’atmosfera abbia modificato il processo di crescita, nonché quanto della perdita di sostanze nutritive sia causato dall’atmosfera piuttosto che da altri fattori chiave come l’allevamento intensivo.
Gli esperimenti FACE (Free Air Carbon-Dioxide Enrichment), che trasformano i campi in laboratori a cielo aperto dove viene soffiata anidride carbonica sulle piante, sono in aumento, ma secondo Robin Foroutan, nutrizionista dell’Academy of Nutrition and Dietetics, “è ancora presto per sapere cosa comporti un cambiamento nella proporzione dei carboidrati all’interno di determinati alimenti, e quindi nella nostra dieta”.
Secondo le ultime proiezioni, la riduzione di proteine e minerali nelle piante potrebbe essere fatale. Entro il 2050 si stima che oltre 150 milioni di persone soffriranno di carenza di proteine e verrà a meno il contributo essenziale dello zinco, elemento prioritario per donne in maternità e infanti, coinvolgendo oltre un bilione di madri e 350 milioni di bambini. Allo stesso modo, le diete povere di ferro porteranno a una crescita di problemi anemici e l’aumento di glucosio andrà a impattare su tasso di obesità e complicazioni cardiovascolari.
Per provare l’incidenza diretta dell’atmosfera sulla composizione nutritiva dei vegetali, Lewis Ziska, fisiologo vegetale americano, ha studiato il ciclo alimentare delle api, concentrandosi su una pianta selvatica, il solidago, le cui caratteristiche non sono mutate nel tempo per mano dell’uomo. In modo direttamente proporzionale con la crescita di CO2, la quantità di proteine presenti nel solidago, essenziali per l’alimentazione delle api, è diminuita di un terzo dalla rivoluzione industriale a oggi.
Nonostante queste evidenze, sviluppare ulteriori studi non sembra ancora una priorità, e gli investimenti del settore sono concentrati sulla resistenza ai pesticidi. Tuttavia, è tuttora in corso una partnership scientifica tra Cina, Giappone, Australia e Usa per analizzare il condizionamento delle proprietà nutritive del riso dovute all’incremento di CO2 nell’atmosfera, e vi è in programma di espandere il raggio di ricerca alle vitamine, per ora poco considerate.
È ancora troppo presto per capire con certezza quali saranno le implicazioni sulla salute pubblica e come la riduzione di proprietà nutritive si evolverà nell’immediato futuro, ma, secondo Samuel Myers, climatologo di Harvard che ha pubblicato studi inerenti sulla rivista Nature nel 2014, “questa è soltanto la punta dell’iceberg”.
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