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Dal Ministero dell’Ambiente segnali di ripresa dei lavori sulla bozza di decreto sui criteri minimi ambientali. Possibili ricadute positive non solo per l’ambiente e i consumi energetici, ma anche di tipo economico.
Al pari di altre categorie di materiali di scarto, i rifiuti inerti non pericolosi (in genere detti “rifiuti da costruzione e demolizione”) da tempo sono al centro di un vivace dibattito tra giuristi e tecnici per tentare di mettere a fuoco regole certe per il loro reimpiego garantendo, nel contempo, caratteristiche prestazionali pari ai materiali primari e assenza di impatti ambientali. Scopo finale del recupero di questi residui è la produzione di “aggregati riciclati”, ovvero materiali derivanti dalla separazione di laterizi, murature, calcestruzzo e prodotti ceramici dalle componenti metalliche, plastiche e lignee e successiva frantumazione e vagliatura; gli impieghi possono essere molteplici, dal confezionamento di calcestruzzi fino alle opere stradali.
“Effetti collaterali” positivi sono, ovviamente, un minore impatto ambientale - derivante dal mancato conferimento in discarica e dal minor ricorso all’attività di escavazione - e un risparmio sui consumi energetici legati alla produzione dei materiali primari. A queste considerazioni vanno ad aggiungersi i numeri dell’ultimo rapporto di Ispra che, a fine 2014, ha stimato in poco più di 50 milioni di tonnellate (+ 3 milioni rispetto all’anno precedente) la produzione di rifiuti inerti da costruzioni e demolizioni in Italia; dato che, peraltro, rappresenta una stima in difetto del reale quantitativo generato dalle attività edilizie in quanto privo del contributo dei piccoli gestori (esenti dalla dichiarazione annuale o Mud) e, soprattutto, del dato sommerso legato ai conferimenti illeciti.
E proprio a causa della diffusa pratica dell’abbandono, l’Italia sta accusando un forte ritardo rispetto all’obiettivo del 70% di riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione entro il 2020, richiesto dalla comunità europea agli Stati membri. Addirittura, Legambiente, nel rapporto “Recycle: la sfida nel settore delle costruzioni” parla di una percentuale di recupero pari al 10%, decisamente imbarazzante se confrontata con il 90% dell’Olanda, paese leader in Europa in questo processo, seguito da Belgio (87%) e Germania (86,3%).
A questo proposito, un aiuto a ridurre il gap potrebbe derivare della messa a punto dei “criteri minimi ambientali” (cioè le caratteristiche “verdi” che determinati beni e servizi devono possedere per entrare a far parte degli appalti pubblici) per gli aggregati riciclati, che potrebbero conferire una decisa sferzata al mercato. Di fatto, i CAM per il settore edilizio sono già stati resi noti con il D.M. Ambiente 11 gennaio 2107; tuttavia, poiché la maggior parte degli inerti viene recuperata per lavori stradali, è necessario mettere a punto criteri ambientali minimi specifici per le forniture in questo settore. E sembra che qualcosa al Ministero dell’Ambiente si stia muovendo visto che sono ripresi recentemente i lavori del tavolo tecnico creato ad hoc per arrivare a definire nel minor tempo possibile i CAM per le opere stradali. L’auspicio è che il decreto veda la luce al più presto; in gioco, infatti, non solo ci sono istanze ambientali, ma anche interessanti prospettive economiche e occupazionali. E il 2020 è sempre più vicino.
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