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Il D.M. 28 dicembre 2016, n. 266 detta le regole per snellire le procedure amministrative relative al compostaggio, ma introduce obblighi per i soggetti conduttori delle apparecchiature e per i Comuni.
Il compostaggio, processo che, come noto, permette di ottenere fertilizzanti dalla parte organica di rifiuti solidi previo apposito trattamento e fermentazione aerobica, gioca un ruolo importante all’interno delle politiche di riutilizzo degli scarti che costituiscono l’ossatura della circular economy. Le operazioni possono essere applicate a utenze dimensionalmente molto diverse tra loro, dalla piccola domestica a quella industriale.
Particolare è il cosiddetto “compostaggio di comunità”, ovvero quello tarato su agglomerati di nuclei famigliari (da poche decine ad alcune centinaia), ristoranti, alberghi, mense e altri soggetti simili, che è entrato nel mirino del legislatore con l’art. 38, comma 1, legge n. 221/2015 («Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali») che ha aggiunto il comma 1-octies all’articolo 180 del testo unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006). Scopo di questa aggiunta è stato prevedere la pubblicazione di un decreto ministeriale per stabilire i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici; previsione che ha finalmente preso forma con la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del 23 febbraio 2017, n. 45 del decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero della Salute 28 dicembre 2016, n. 266.
Punto di partenza del nuovo provvedimento è l’individuazione del soggetto abilitato a beneficiare del regime semplificato, ovvero il cosiddetto “organismo collettivo” che l’articolo 2, comma 1, lettera e) definisce come «due o più utenze domestiche o non domestiche costituite in condominio, associazione, consorzio o società, ovvero in altre forme associative di diritto privato che intendono intraprendere un'attività di compostaggio». Parallelamente, il nuovo decreto definisce i limiti oltre ai quali non può essere esteso il regime semplificato ovvero qualora il quantitativo annuo trattato ecceda le 130 tonnellate (nel cui caso si rientra nel sistema ordinario ex articoli 208 e 214 del testo unico ambientale) o in presenza di impianti di compostaggio aerobico di rifiuti biodegradabili.
Per gli organismi collettivi così inquadrati, il D.M. n. 266/2016 prevede la possibilità di iniziare l’attività di compostaggio di comunità semplicemente a fronte dell’invio di una segnalazione certificata di inizio attività (cosiddetta Scia ex art. 19, legge n. 241/1990) al Comune territorialmente competente, comunicando i dati previsti dal modulo allegato al decreto e il modello organizzativo dell'attività di compostaggio che diventa vincolante per i soggetti che conferiscono il materiale da compostare.
Il nuovo provvedimento si occupa poi di definire quali apparecchiature possano essere utilizzate, suddividendole in “statiche” (con aerazione naturale) o “elettromeccaniche” (aerazione indotta); ciascuna di queste due categorie comprendono apparecchiature di taglia piccola (T1), media (T2) e grande (T3), a seconda che la capacità di trattamento annuo arrivi, rispettivamente, a 10, 60 o 130 tonnellate massime.
Infine, pur avendo come obiettivo dichiarato la semplificazione procedurale, nel decreto n. 266/2016 non mancano gli obblighi. Innanzitutto, il compost ottenuto deve rispettare determinati parametri in termini di umidità, temperatura, pH e assenza di frazioni di natura diversa.
In secondo luogo il conduttore dell’apparecchiatura dovrà sottoporsi a specifici corsi di formazione e tenere un registro sui quantitativi di rifiuti conferiti e del quantitativo di compost prodotto, dato quest’ultimo utile ai fini della riduzione della tassa sui rifiuti. In caso di cessazione attività, sempre il conduttore è tenuto a darne comunicazione al comune territorialmente competente entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento.
A loro volta, i Comuni sono obbligati a inviare, all'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), i dati complessivi derivanti dalla somma delle informazioni trasmesse dai singoli conduttori e, alla regione o alla provincia autonoma territorialmente competente, il numero complessivo di apparecchiature in esercizio e la capacità complessiva di trattamento.
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